PIEMONTE – NOVARA – “Non attira su di sé, non egemonizza, ma diventa un testimone, uno che attesta quel carattere buono e vero dell’esistenza, che è stato decisivo prima per lui stesso; non deve temere di dire le proprie convinzioni, di attestare i propri valori, di offrire le proprie ragioni, perché egli sa che potrà trasmetterli solo se susciterà la cordiale comprensione e l’adesione personale da parte dell’altro”. È questo l’identikit dell’educatore secondo monsignor Franco Giulio Brambilla, vescovo di Novara, che oggi a Genova, ha aperto i lavori del XIII convegno nazionale di pastorale giovanile (fino al 13 febbraio) sul tema “Tra il porto e l’orizzonte – le direzioni della cura educativa nella comunità cristiana”. Agli oltre 400 tra educatori e operatori di pastorale giovanile provenienti dalle diocesi italiane presenti presso i saloni dei ‘Magazzini del cotone” del porto antico del capoluogo ligure, il vescovo ha posto Cristo come esempio da seguire, come “maestro di vita” che “mentre parla e interviene con le folle, non smette mai di educare i suoi discepoli. La sua dinamica esemplare comporta un ‘venite e vedrete’, un appello e una promessa, una sfida nel tempo disteso, un rischio tra incomprensione e sequela”. Allo stesso modo, ha spiegato mons. Brambilla, l’educatore, come “maestro di vita”, “non attira su di sé, non egemonizza, ma diventa un testimone; non deve temere di dire le proprie convinzioni, di attestare i propri valori, di offrire le proprie ragioni”. In una società “della gratificazione istantanea”, ha affermato il vescovo, “l’educazione, che riveste tempi lunghi e impiega molte risorse ed energie, corre il rischio di soccombere”. La Chiesa, per evitare tale rischio, “deve recuperare la sua originaria coscienza che la dedizione al processo educativo appartiene originariamente all’evangelo, a quel modo che la cultura è momento intrinseco dell’evangelizzazione”. Evangelizzare ma senza “scorciatoie”, ha raccomandato mons. Brambilla, evitando cioè quella “sorta di offerta della nuda parola e dell’evangelo puro, in una spiritualità che non riesce ad assumere e a dischiudere autentici processi con cui disporre di sé nel tempo presente”. Il Vangelo, ha concluso, “non s’incontra allo stato puro, ma dentro un volto e una storia, a condizione che questi volti e queste storie di vita dicano Lui e non essi stessi. La sfida educativa ha bisogno di maestri che siano testimoni. Per questo l’educazione deve tornare al centro: come l’opera corale di tutta la Chiesa. La Chiesa di Papa Francesco – in neppure un anno – ce l’ha mostrato, con gesti e parole intimamente tra di loro connesse”.
fonte: www.agensir.it