È la raccomandazione, espressa in un lungo intervento di 18 pagine da monsignor Nunzio Galantino, vescovo di Cassano all’Jonio e segretario generale della Cei, parlando oggi a Orvieto ai partecipanti alla 65ª Settimana liturgica nazionale organizzata dal Cal (Centro azione liturgica). Mons. Galantino ha evidenziato prima di tutto la necessità di adottare l’atteggiamento suggerito da Papa Francesco di una Chiesa “in uscita”, che “prende l’iniziativa” per essere “accogliente” e “accorciare le distanze”. In ambito liturgico, ha raccomandato di non organizzare celebrazioni eucaristiche “settoriali”, pensate cioè “solo per qualche gruppo o categoria” ma momento di “convocazione e raduno di tutta la comunità”. Nelle “Messe dei bambini”, ad esempio, “non si tratta di celebrare in modo infantile, né di snaturare i riti liturgici con l’illusione di renderli più comprensibili o interessanti, ma di porre in atto alcune attenzioni”, come “canti adatti, valorizzazione delle posizioni del corpo, opportune e brevi monizioni”. Anche i gruppi presenti nelle comunità sono invitati “a non volersi isolare nel proprio cammino”.
Un’attenzione particolare dell’assemblea eucaristica è “la misericordia nei confronti dei poveri”: “sono lontani i tempi in cui nelle chiese era evidente la differenza fra ricchi e poveri – ha osservato mons. Galantino -, per esempio con i posti riservati per le persone più agiate o anche con sedie e banchi di loro proprietà. Questo grazie a Dio non accade più. Ma basta questo per dire che i poveri nelle nostre assemblee sono accolti? I poveri sono scomodi, lo sappiamo bene”. Il segretario generale della Cei ha posto una serie di domande provocatorie sulle quali i cristiani sono chiamati ad interrogarsi: “siamo sicuri che i poveri partecipino volentieri alla messa domenicale perché si sentono accolti? Siamo sicuri che nelle nostre assemblee non si facciano davvero differenze tra ricchi e poveri? In che modo ci interroga la presenza di persone che chiedono l’elemosina alla porta della chiesa? Talvolta costoro sono cristiani, anche cattolici, ed entrano in chiesa per pregare o per partecipare alla Messa: quale accoglienza viene loro riservata?” Allo stesso modo, ha proseguito, le celebrazioni devono dedicare particolari premure verso “malati, sofferenti, persone disabili”, ad esempio eliminando le barriere architettoniche e riservando dei posti che “si adattino alle condizioni fisiche e psicologiche dei malati, in particolare per le difficoltà motorie ed uditive”.
Stesso atteggiamento va espresso nei confronti dei migranti, ha sottolineato il segretario generale della Cei: “Le comunità del luogo hanno il dovere dell’accoglienza, sono tenute ad accordare loro ospitalità, evitando di farli sentire ospiti, perché nella Chiesa ogni cristiano è a casa propria”. Nel caso di singoli fedeli, famiglie o piccoli gruppi “è da prevedere un’accoglienza e una conoscenza da parte del sacerdote o di altre persone”. Per le comunità più grandi “non si tratta soltanto di offrire l’ospitalità in un edificio di culto – ha suggerito -, ma è opportuno cercare anche dei contatti tra le comunità e, almeno qualche volta all’anno, svolgere delle celebrazioni comuni”. Infine, mons. Galantino ha ricordato la situazione dei fedeli in situazione matrimoniale irregolare, che “vivono la loro condizione con grande sofferenza” e “percepiscono la disciplina della Chiesa come molto severa, non comprensiva se non addirittura punitiva”. “Con sincerità – ha rimarcato – dovremmo però riconoscere che anche gli altri fedeli percepiscono la disciplina della Chiesa come un’esclusione di questi loro fratelli e sorelle, e, talora, li osservano con uno sguardo carico di pregiudizio”, imponendo loro “un ulteriore fio da pagare, una loro discriminazione di fatto”. Serve quindi “accoglienza, comprensione, accompagnamento, supporto”, e “percorsi di vita ecclesiale” sebbene “non possano ricevere la comunione eucaristica”.
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