R. – Li trascorre con tanta serenità e letizia. Io lo vedo sempre contento, ogni mattina. Sempre al lavoro tra l’altro, perché lo trovo sempre con le mani occupate, pieno di carte, di corrispondenza: lui ci tiene molto a rispondere personalmente. Quindi passa questo periodo in comunicazione con i suoi amici, con la gente a cui tiene. Ne approfitta soprattutto perché può avere più tempo a disposizione e allora si dedica a questo. Più le letture che fa di documenti e di progetti che gli arrivano per il futuro prossimo.
D. – Sull’aereo di ritorno dall’America Latina, il Papa ha detto che si sarebbe messo a studiare – ha usato proprio questo termine – per preparare il viaggio a Cuba e negli Usa. Francesco, chiaramente, sente molto l’importanza di questo atteso viaggio, dopo quello straordinario nella sua terra, l’America Latina…
R. – Sì! Io ritengo che sia bello questo anno soprattutto perché è l’anno in cu “abbraccerà” – si può dire – tutto il continente, quello delle Americhe, come si dice in italiano: noi diciamo l’America, perché lo consideriamo un solo continente… E dico questo abbraccio, perché è andato in Sud America e a settembre toccherà la visita a Cuba, che è Centroamerica, e poi gli Stati Uniti e quindi il Nord America. Ci tiene molto, soprattutto perché potrà plasmare e potrà rendere concreto e visibile quello che è il risultato di un lavoro anche molto diplomatico e molto pastorale, che ha aiutato a riallacciare le relazioni diplomatiche tra Cuba e Stati Uniti. Penso che questo renda questo viaggio molto più interessante: oltre ad essere una visita pastorale, è quasi una visita di ringraziamento a due nazioni che hanno saputo ridarsi la mano. Lui, come uomo venuto dal Sud del Continente, è protagonista di un momento storico.
D. – Papa Francesco ha sempre detto di essere un pastore che ama camminare in mezzo alla gente. Quanto gli manca – secondo lei – questa libertà, specie in un periodo senza incontri pubblici come questo?
R. – Gli manca, sì. Lui era molto abituato a camminare, a camminare e a stare tra la gente. Penso all’estate argentina, al mese di gennaio che è paragonabile a questo luglio così caldo e afoso: lui passava le giornate visitando le favelas di Buenos Aires, condividendo con la gente questo periodo duro, di caldo, di sacrificio anche. Però lo offre a Dio e lo vive come un momento per dare al Signore, in offerta, questo modo di fare il ministero come Papa, vicino – con il suo cuore – alla gente che soffre e che il caldo rende anche loro la vita impossibile: pensiamo a queste baracche, dove non pensiamo certo che esista il ventilare…
D. – Il 5 agosto ricominciano comunque le udienze generali. Il Papa – lo sappiamo e lo ha anche detto, motivando anche la scelta di vivere a Santa Marta – ha bisogno di stare in mezzo, alla gente, al popolo. Questa è un’esigenza che, per lui, non va in vacanza…
R. – Confermo questo. Se parliamo di vacanza, di un periodo in cui ha fatto una pausa, perché sono stati appena pochi giorni di luglio: già è andato in Sud America e si è già consumato il periodo della vacanza e ad agosto riprende il momento importante della settimana in cui fa la catechesi e ri-comincia ad abbracciare il Popolo di Dio. Questo affetto che lo caratterizza si rende anche palpabile quando uno vede quanto amore dà e quanto amore riceve; quando amore scambia… E questo, a lui, lo riempie di energia. E’ bello soprattutto vedere il contatto con gli ammalati, questa sua umanità, che lui può dare e la fede che suscita. E poi questo abbraccio argentino: questo gruppo che è sempre molto consistente e che gli porta l’affetto dell’altra parte dell’Oceano; e poi tanti amici, tanti amici, anche dei parenti… Con tutti ha sempre un momento ricco di esperienza umana e spirituale.
D. – A proposito di Argentina: anche in questo periodo, sappiamo che non manca il mate per Papa Francesco. Lei è argentino come il Santo Padre: perché questa bevanda è così importante per lui e per voi argentini? Gli ricorda la sua amata terra?
R. – Consideri che noi da quando siamo bambini beviamo il mate. Addirittura quando sei bambino la mamma ti dà il mate un po’ più tiepido, vi mischia un pochino di latte addirittura… Si trasforma in una infusione, in un thè un po’ caratteristico che ci accompagna tutta la vita. E poi fa compagnia: il mate è una cosa che rende amici, perché si sta sempre con qualcuno quando lo bevi. Ha un senso familiare molto profondo. Penso che faccia parte delle radici e dell’identità argentina, come anche di altri Paesi quali l’Uruguay, il Paraguay, il Cile… Però l’argentino lo vive come uno strumento di condivisione: non è che uno prende il bicchiere e si disseta da solo, ma c’è questa cosa che si condivide. E poi è molto salutare – lo devo dire – perché aiuta ad abbattere il colesterolo. E per noi che mangiamo tanta carne … può darsi. Tra l’altro è stata una invenzione dei gesuiti, nelle riduzioni gesuitiche: il mate lo hanno trovato loro come erba per combattere l’alcoolismo degli indios di quell’epoca. Poi è diventata una bevanda medicinale. Ripeto: evidentemente noi argentini soffriamo meno di colesterolo grazie a questo mate, che ci aiuta a mangiare la carne e a non essere così malati di questa malattia.
A cura di Redazione Papaboys fonte: Radio Vaticana
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