Categorie: Pax et Justitia

Mons. Mamberti all’Onu: necessaria finanza più equa, ma questione principale resta quella della pace

La pace è una condizione imprescindibile per lo sviluppo umano integrale e la pace e gli obiettivi di sviluppo a favore di ogni abitante della terra si possono ottenere solo se ogni Stato “si assume pienamente la propria responsabilità per il bene comune di tutti”. E’ quanto ribadito ieri a New York da mons. Dominique Mamberti, segretario per i Rapporti con gli Stati, nel suo intervento alla 68.ma Assemblea generale delle Nazioni Unite, dedicato anche alla tragedia siriana. Il servizio di Lisa Zengarini: Nel sottolineare l’importanza del tema scelto per la sessione, “Prepariamo il terreno per il programma di sviluppo dopo il 2015”, mons. Mamberti ha evidenziato come a poco più di un anno dalla scadenza fissata dall’Onu per gli Obiettivi del Millennio, essi sono lontani dall’essere stati universalmente raggiunti. Questo soprattutto a causa delle difficoltà di mettere a punto i mezzi per realizzare l’ottavo Obiettivo riguardante le risorse necessarie per il raggiungimento degli altri sette. A tale proposito, il presule ha evidenziato come dopo la crisi del 2008, sia urgente coinvolgere tutti gli Stati nella definizione delle politiche economiche internazionali per la promozione di una finanza più responsabile e più equa. Anche la creazione di un nuovo sistema finanziario internazionale riconosciuto da tutti gli Stati, ha peraltro osservato, sarebbe comunque insufficiente se non si confrontassero costantemente i risultati con gli obiettivi fissati per migliorare le condizioni di vita di chi è nel bisogno.

Il nodo di fondo resta in ogni caso quello della pace, senza la quale non può esserci sviluppo. Per questo è “necessario tornare ai principi fondanti sui quali la comunità internazionale si è solennemente impegnata circa 70 anni fa”: a cominciare dalla limitazione del ricorso alla forza per la risoluzione dei conflitti. “E’ tragico constatare – ha affermato mons. Mamberti – come ancora oggi i meccanismi messi a punto dall’Onu non abbiano permesso di evitare gravi conflitti civili o regionali, né di proteggere le popolazioni”, come dimostrano i casi del Congo, del Centrafrica e del Medio Oriente. Nonostante queste difficoltà – ha peraltro osservato il presule – l’esperienza realizzata dall’Onu per il mantenimento e il consolidamento della pace deve essere considerata nell’insieme positiva, perché è “l’espressione concreta dei due grandi principi del diritto naturale intrinsecamente legati alla dignità dell’uomo”: quello di evitare, per quanto possibile, la guerra e quello della permanente validità della legge morale durante i conflitti armati.

Il presule si è quindi soffermato sulla tragedia siriana, ribadendo la viva preoccupazione della Santa Sede per la sorte delle comunità cristiane e delle altre minoranze siriane, che, ha detto, “non devono essere costrette all’esilio, ma devono al contrario conservare un ruolo nella futura configurazione politica del Paese e dare il loro contributo al bene comune”. Mons. Mamberti ha ricordato l’accorato appello rivolto da Papa Francesco ai leader del G20 a San Pietroburgo circa la responsabilità della comunità internazionale verso la Siria e per una soluzione pacifica del conflitto attraverso il dialogo. Pur riconoscendo l’impegno delle agenzie Onu per proteggere le popolazioni civili, il presule ha evidenziato che quello che per troppo tempo è mancato agli Stati è il coraggio di “rendere prioritario l’impegno internazionale per la risoluzione del conflitto”. Egli ha ricordato in proposito il principio della “responsabilità di proteggere” enunciato al Summit mondiale dell’Onu del 2005 e pienamente condiviso dalla Santa Sede. Responsabilità – ha puntualizzato – che non implica automaticamente il ricorso alle armi, bensì l’immediata messa in campo di tutte le misure disponibili: quelle diplomatiche, economiche, di opinione pubblica e tutte le procedure previste dalla Carta delle Nazioni Unite. In questo senso – ha sottolineato mons. Mamberti – la tragedia siriana rappresenta ad un tempo “una sfida e un’opportunità per l’Onu”. A questo proposito il presule ha evidenziato l’apprezzamento della Santa Sede per la Risoluzione 2118 sull’eliminazione delle armi chimiche in Siria, adottata il 27 settembre dal Consiglio di Sicurezza. “Una soluzione pacifica e durevole del conflitto siriano – ha concluso – creerebbe un precedente significativo per il secolo in corso e faciliterebbe l’inclusione del principio della ‘responsabilità di proteggere’ nella Carta delle Nazioni Unite”, ma sarebbe anche “la manifestazione più chiara ed evidente della volontà di intraprendere un cammino di sviluppo durevole dopo il 2015”.

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