CALABRIA – GERACE – “Sappiamo bene che quanto più difficile sono le condizioni sociali di un territorio, tanto più urge unire tutte le forze sane della società se si vuole portare avanti qualunque opera di rinnovamento e di riscatto sociale. Sappiamo bene che non si può essere disgregati di fronte alla domanda di futuro che proviene da tanti giovani, che di fronte alle difficoltà/impossibilità di trovare occupazione non hanno alternative tra la via dell’emigrazione e la triste rassegnazione, finendo spesso con l’essere facile esca della malavita organizzata. Sarebbe un fallimento per tutti”. Lo ha detto ieri sera, nella cattedrale di Gerace, il neo vescovo di Locri-Gerace, monsignor Francesco Oliva, portando il saluto alla nuova diocesi.
“La Chiesa – ha aggiunto – ama essere tra la gente per curare e guarire le ferite di una umanità sofferente. E anche quando è costretta a riconoscere la gravita del male che conduce fuori dalla comunione ecclesiale, soffre per questo e se lo fa non è per condannare, ma per sollecitare un cammino di conversione che porti a riscoprire la bellezza di un Dio che ti porge la mano o che aspetta il ritorno del figlio sbandato e che gli ha voltato le spalle, in modo da poter far festa al suo ritorno”. “Inizio – ha sottolineando il presule – il mio ministero sapendo che la Locride, e tutta la Calabria, è una terra bella e ricca di risorse. Una terra da amare, accogliendone le contraddizioni come opportunità di crescita e di recupero. Desidero unirmi a quanti la amano e fanno di tutto perché emerga giorno dopo giorno la sua immagine più vera, che non è quella più pubblicizzata”.
La Calabria “non è ‘terra perduta’, come talvolta si legge. Ma – ha detto mons. Oliva – potrà diventarlo, se gli stessi Calabresi non la amano, se si rassegnano al fatalismo ed alla rassegnazione, se non ne sanno apprezzare le tante risorse”. Mons. Oliva, nella mattinata di ieri, prima della cerimonia di ordinazione e di ingresso in diocesi, ha visitato il carcere di Locri: qui ha celebrato la liturgia eucaristica durante la quale ha sottolineato che “nessuno è tutto male e nessuno è solo bene”, “la lotta tra il bene ed il male avviene ogni giorno in noi e all‘esterno di noi. Il bene esalta l‘uomo, il male lo distrugge. Tra il bene ed il male c‘è però contrasto, non sono la stessa cosa. Il bene fa crescere, crea situazioni di vita belle, il male ostacola il progresso”.
Per il vescovo della Locride occorre “riconoscere il bene che è in noi, ma anche il male fatto. Non si vive senza questo riconoscimento interiore, o peggio conservando in sé odio, spirito di vendetta. La redenzione personale è possibile, ma presuppone questo riconoscimento del male fatto, il pentimento, il proposito di non farlo più”. “Bisogna riconoscere che il male fatto ha causato sofferenza e dolore a tanti, spargimento di sangue e morte in taluni casi. Di tutto ciò occorre pentirsi”. “Avete una sfida da superare – ha concluso -: la sfida del reinserimento sociale”. “È possibile la conversione, uscire fuori dalle proprie negatività, dissociarsi, desistere dalla condotta perversa. E possibile la conversione ed il perdono”. Fonte: Agensir