“Una buona comunicazione è sempre una conquista più umana che tecnica”. E’ uno dei passaggi dell’intervento di mons. Paul Tighe, segretario del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali, al Summit Mondiale sulla società dell’informazione, in corso a Ginevra. Alessandro Gisotti ha chiesto a mons. Tighe, che è inoltre membro della Commissione sulla riforma dei media vaticani, di soffermarsi sui passaggi fondamentali del suo discorso e sulle prospettive future della comunicazione digitale:
R. – E’ chiaro che dobbiamo riconoscere e sottolineare il potenziale delle nuove tecnologie, per creare delle piattaforme che aiutino lo sviluppo umano. Allo stesso tempo, però, ho voluto dire che le tecnologie da sole non sono in grado di cambiare il mondo e che c’è bisogno di un impegno umano! Cerchiamo sempre di essere sicuri di usare queste risorse per aiutare tutta la gente. Per me è stato importante dire che la comunicazione è una conquista umana, non è semplicemente una cosa tecnologica. E’ importante che coloro che sono collegati alla Rete abbiano una grande possibilità di progredire nel campo dell’educazione e in campo economico. Ci sono, però, quelli già esclusi a causa della povertà. Sarebbe una cosa terribile se questa nuova Rete escludesse ancora di più coloro che sono già poveri ed emarginati.
D. – Come promuovere una strategia che non escluda nessuno dalla rivoluzione tecnologica?
R. – Ascoltando le altre delegazioni qui, mi sembra che ci sia un grande impegno a livello globale. Uno degli sforzi di questo Convegno è quello di legare tutte queste riflessioni sulle tecnologie all’idea dello sviluppo umano. Poi, ho trovato qui molte Ong di tutto il mondo che lavorano nel campo dello sviluppo e che stanno pensando ad una strategia per aiutare questo sviluppo. Stanno cercando di mettere al primo posto il tentativo di sviluppare le infrastrutture nazionali, che poi permettano a tutto il mondo di essere presenti in questo nuovo ambiente, a partire dai Paesi più poveri, perché spieghino quello che fanno, per essere sicuri che all’interno di un Paese, non solo i ricchi, ma tutti abbiano la possibilità di esprimersi e di sentire cosa succede in questi ambienti.
D. – Quale contributo la Chiesa può dare alla comunicazione, sempre più partecipativa, così evidente oggi, nei diversi social network?
R. – Una cosa importante è che la Chiesa inizi dalle istituzioni di educazione presenti in tutto il mondo, assicurandoci che il nostro modo di insegnare tragga vantaggio dalle nuove tecnologie, e assicurandoci che questa cosa sia accessibile a tutti. Poi, ci sono iniziative specifiche, come quella in America Latina, dove Riial, la rete informatica della Chiesa, sta cercando di collaborare insieme alle comunità di base, per sfruttare bene le potenzialità di queste tecnologie. Poi, noi come Chiesa, mi sembra che siamo già una rete; siamo già una comunità delle comunità, e quello è proprio il linguaggio che molti usano per descrivere anche Internet.
D. – Da questa esperienza così interessante, anche per lei personalmente, c’è qualche spunto, qualche ispirazione che le è venuta, anche pensando alla riforma dei media vaticani di cui tanto si parla?
R. – Io credo sia una cosa chiara a tutti, una cosa che mi aiuta a comprendere che tutti “lottano” per capire bene la sfida e che non siamo gli unici al mondo a dover ripensare il nostro modo di comunicare, di essere presenti in Rete! Da qui, è anche importante ascoltare, capire cosa fanno in altri Paesi, in altre società. Adesso, infatti, c’è la possibilità di imparare insieme.
A cura di Redazione Papaboys fonte: Radio Vaticana