Morti Mediterraneo: Mons. Montenegro, speranza da semestre UE

SICILIA – AGRIGENTO – “Io non credo che in sei mesi si riuscirà a trovare una soluzione”, ma “spero che l’Italia riesca ad ottenere qualcosa di più e a far muovere un po’ di più questo marchingegno”. Non usa mezzi termini monsignor Francesco Montenegro, arcivescovo di Agrigento e presidente della Commissione episcopale per le migrazioni, intervistato da Radio vaticana all’indomani dell’ennesima strage nel Canale di Sicilia in cui sono morte 30 persone e alla vigilia dell’inizio del semestre di presidenza italiana. Il presule è appena rientrato dal Consiglio europeo del 27 giugno e riferisce: “Ho parlato con alcuni commissari. Loro dicono che perché l’Europa si muova devono essere in 27 a pensarla alla stessa maniera. E loro stessi mi hanno detto: ‘Comprende che, per arrivare ad un pensiero comune di 27, i tempi saranno lunghi e lunghissimi’”. Per mons. Montenegro, “il peccato originale dell’Europa è che non è costruita attorno agli uomini, è costruita attorno all’economia e alla finanza. Fino a quando l’Europa sarà un grande salvadanaio non possiamo aspettarci che l’uomo abbia l’attenzione che si merita; saranno i soldi, se ci sono o non ci sono, che permetteranno determinate azioni o determinati movimenti da parte di tutte le nazioni”.

“Nessuno – avverte mons. Montenegro – può sognare che queste morti finiscano fino a che questi viaggi continuano”, e accoglienza, puntualizza, “non è soltanto” raccogliere gli immigrati “sulla terraferma e dare un piatto e dare un tetto”; è anche far sì che la loro vita “venga riconosciuta come una vita meritevole di attenzione … e sono persone che hanno una dignità: il Papa lo va ripetendo”. Quanto ad una maggiore collaborazione con gli Stati del Nordafrica per dare assistenza a queste persone proprio là, magari con l’intervento dell’Alto Commissariato per i rifugiati, il presule sostiene: “Non voglio fare il pessimista di primo mattino, però noi fino adesso abbiamo colonizzato: la nostra mentalità è quella della colonizzazione, non quella dell’aiuto”. “I tanti Stati che sono là sono corrotti: ma da chi sono sostenuti? Chi li ha fatti formare?”, si chiede. In certe nazioni, osserva, “sarà difficile la collaborazione, in Libia non c’è un governo, come si farà a dialogare? Con chi? Che bisognerebbe far questo, senz’altro: ma c’è la volontà?”. E ancora il richiamo alla speranza: “Credo Che la speranza ci debba accompagnare”, però “la lettura dei fatti attuali non fa molto sperare. Noi ci mettiamo di mezzo la fede, perché crediamo che Dio può tutto”. Fonte: Agensir

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