Dopo una lunga malattia è morto stamani il cardinale Dionigi Tettamanzi, arcivescovo emerito di Milano. Aveva 83 anni, essendo nato a Renate (oggi provincia di Monza e Brianza) il 14 marzo 1934. Il decesso è avvenuto attorno alle 10.30 nella Villa Sacro Cuore, la Casa di spiritualità della Diocesi, a Triuggio, in Brianza, dove Tettamanzi si era ritirato.
Entrato a 11 anni in Seminario nell’arcidiocesi di Milano, venne ordinato sacerdote dall’allora arcivescovo di Milano Giovanni Battista Montini, futuro Paolo VI, il 28 giugno 1957. Resterà al servizio del Seminario arcivescovile ancora per molti anni, durante i quali mosterà grande interesse verso i temi del matrimonio, della sessualità e della bioetica. Una competenza che lo portò a collaborare con papa Giovanni Paolo II per alcuni testi di magistero su questi temi. Venne nominato rettore del Pontificio Seminario Lombardo a Roma nel 1987 e collaborò anche con la Conferenza episcopale italiana, di cui fu segretario generale dal 1991 al 1995. Ha guidato le arcidiocesi di Ancona-Osimo (1989-1991), Genova (1995-2002) e Milano (2002-2011). A consacrarlo vescovo nel Duomo di Milano fu l’allora arcivescovo, cardinale Carlo Maria Martini, il 23 settembre 1989. Venne creato cardinale da Giovanni Paolo II nel Concistoro del 21 febbraio 1998. Dopo aver lasciato la guida dell’arcidiocesi di Milano per quindici mesi (dal 2012 al 2013) venne chiamato a svolgere l’incarico di amministratore apostolico nella diocesi di Vigevano rimasta senza vescovo. La sua ultima apparizione pubblica è avvenuta lo scorso 25 marzo in Duomo a Milano durante la visita di papa Francesco, che lo salutò con grande affetto.
«La mia idea di Chiesa»
«Per me la Chiesa è stata finora – e per un certo senso lo sarà sempre – la Chiesa di Milano. Amo la Chiesa di Milano perché mi è stata madre di grazia con il dono del Battesimo e dell’educazione cristiana, del cammino verso il Sacerdozio, dell’ordinazione sacerdotale e di un numero di ricchezze legate alla sua storia passata e presente. Amo la Chiesa di Milano perché in essa mi è stato dato di svolgere il mio ministero. Soprattutto per quanto riguarda la formazione teologica dei chierici e dei sacerdoti. Questa Chiesa di Milano, per il suo vincolo immutato e immutabile con la Chiesa di Pietro, mi ha dato la gioia e l’entusiasmo per un servizio ecclesiale sempre più ampio».
Tettamanzi pronuncia queste parole durante l’omelia della sua ordinazione episcopale. Nel “suo” Duomo di Milano, davanti a quella che ha sempre considerato la sua gente, la sua città, il suo orizzonte umano ed ecclesiale. È il 23 settembre 1989 e il successivo 1 ottobre farà ingresso come arcivescovo nella diocesi di Ancona-Osimo. Non può immaginare che tredici anni dopo farà ritorno a Milano come successore di Ambrogio. Ma in queste poche parole c’è già un programma che è allo stesso tempo, non tanto paradossalmente, anche un testamento. Passato e futuro di Tettamanzi si intrecciano in modo inestricabile con la Chiesa di Milano, la patria spirituale della sua fede. Da Renate, il suo paese in Brianza dove è nato 83 anni fa, è arrivato a Milano per suggellare un percorso che, prima di essere umano ed ecclesiale, è soprattutto spirituale.
Il suo cammino di sacerdote e vescovo
Da Renate a Milano ci sono poco più di trenta chilometri. Ma la strada s’allunga un po’ se, prima di arrivare nel capoluogo lombardo, si toccano Seveso, Venegono superiore, Roma, ancora Venegono, Ancona, di nuovo Roma, Genova. Che, tradotto in incarichi e competenze vuol dire: studente a Seveso e Venegono e poi giovane sacerdote e insegnante di morale nei seminari ambrosiani; rettore del Pontificio seminario lombardo a Roma; arcivescovo di Ancona; segretario generale della Cei; arcivescovo di Genova e poi di Milano. Un percorso intensissimo, complesso, ricco di tante soddisfazioni ma – soprattutto negli anni milanesi – anche di tante amarezze. Per compiere questo lungo giro, tra incarichi e nomine al servizio della Chiesa italiana, Tettamanzi impiega 66 anni. Ne aveva 11 quando ha lasciato la sua Renate, 77 quando Scola prende il suo posto sulla cattedra dei santi Ambrogio e Carlo. In questi ultimi sei anni, a parte la parentesi come amministratore apostolico della diocesi di Vigevano – dal luglio 2012 al luglio dell’anno successivo – ha scritto e studiato tantissimo, concentrandosi sui temi che fin dagli anni del Concilio hanno rappresentato il cuore del suo impegno: morale, bioetica e famiglia.
Il legame con i suoi predecessori
Avrebbe voluto dedicarsi in modo più sistematico anche sull’opera dei suoi predecessori al governo dell’arcidiocesi ambrosiana, ma non ne ha avuto il tempo. Lo sentiva come un dovere morale nei confronti dei quattro arcivescovi che avevano segnato così in profondità le tappe della sua vita. Tettamanzi ha studiato nei Seminari lombardi mentre era arcivescovo Ildefonso Schuster e più volte è stato da lui premiato e incoraggiato per l’impegno nello studio. È stato ordinato sacerdote dal cardinale Giovanni Battista Montini. Al cardinale Giovanni Colombo è stato legato da un rapporto di amicizia lungo e fecondo. Dal cardinale Carlo Maria Martini ha ricevuto l’ordinazione episcopale e poi ne ha raccolto l’eredità. Un rapporto fecondo con quattro grandi pastori in cui c’è già tracciata una sorte, una chiamata silenziosa. Tettamanzi ha avuto incarichi importanti lontano da Milano ma, in qualche modo non se n’è mai allontanato. La forza della tradizionale ecclesiale ambrosiana ha ovunque intessuto il suo essere prete, arcivescovo e cardinale con la gente e per la gente. «Io mi sento figlio di questa terra – ha detto a Renate nel settembre ’97, nell’omelia per il suo quarantesimo anniversario di Sacerdozio – figlio di questo paese, e non soltanto in senso materiale, ma anche, e soprattutto, in senso spirituale, e anche per i valori tipici del Sacerdozio. Qui stanno le mie radici, vive e vivificanti. Qui stanno quelle radici che non si riescono mai a strappare dal proprio cuore, anzi dal proprio essere». Parole che arrivano da lontano. Da quella piazza lunga e stretta dove negli anni del conflitto mondiale, i bambini tentavano di ingannare ristrettezze e desolazione inseguendo un pallone fatto di stracci. A quelle corse scatenate il piccolo Dionigi non partecipa quasi mai. Se ne sta in disparte, seduto sui gradini della parrocchiale, con un libro sulle ginocchia. Il buon parroco del tempo, don Pasquale Zanzi, a cui oggi è dedicata la piazza del paese, osserva e incoraggia: “Te sé piscininn, ma te ghé un bel crapin”. E cioè: sei piccolino di statura ma hai anche una bella testolina intelligente. Proprio don Pasquale insiste e appiana ogni difficoltà, anche di tipo economico, per mandare Dionigi «a studiare da prete».
In Seminario a 11 anni
Quando l’8 ottobre 1945 parte per il Seminario inferiore di San Pietro Martire a Seveso, mamma Giuditta ha le lacrime agli occhi: «Ma ero contenta, sapevo che quella era la volontà del Signore». Da quel momento Tettamanzi non si ferma più. Percorre in modo brillante gli studi di teologia e dopo l’ordinazione sacerdotale e il dottorato alla Gregoriana, insegna per oltre vent’anni teologia sacramentaria e morale fondamentale nei seminari ambrosiani. Tiene anche corsi di teologia per i laici, partecipa a dibattiti e conferenze, guida corsi di aggiornamento per il clero, scrive decine di saggi e di articoli. La sua firma compare spesso anche su Avvenire. «Eh, don Dionigi – scherzava il cardinale Colombo, allora rettore maggiore del Seminario – ha una penna con il motorino. Appena l’appoggia al foglio, si mette a scrivere da sola». La cordialità, il buonumore, la battuta pronta in dialetto brianzolo, concorrono a conquistargli simpatia e notorietà. Il resto lo fanno la sua straordinaria capacità di sintesi, il dono della chiarezza e della semplicità con cui affronta anche le questioni teologicamente più complesse o i dubbi legati alla bioetica che in quel tempo cominciano ad affacciarsi numerosi ed inquietanti.
Nel 1989 pastore ad Ancona-Osimo
Quando, nel 1989, arriva la nomina ad arcivescovo di Ancona-Osimo nessuno si stupisce troppo. Tettamanzi è già consultore del Pontificio Consiglio per la famiglia (dal 1982) e del Pontificio Consiglio per gli operatori sanitari (dal 1985). Ha partecipato come esperto di nomina pontificia al Sinodo sulla famiglia (1980) e a quello sui laicato (1987). Ha all’attivo molte decine di studi, di saggi, di dispense. «Ci mandano un professore, chissà…», avrebbero detto nel capoluogo marchigiano alla notizia della nomina. Ma in poche settimane le riserve si sciolgono. Le risorse umane, teologiche e pastorali di Tettamanzi bastano a superare ogni dubbio. E lo stesso succede per gli incarichi successivi – segretario generale della Cei e arcivescovo di Genova – di cui ci occupiamo nelle pagine successive.
Il magistero nella sua Milano
Quando arriva a Milano il 29 settembre 2002 è quasi una festa di famiglia, il ritorno a casa di un pastore che è apprezzato dai preti e conosciuto dalla gente. Nella sua arcidiocesi l’impegno di Tettamanzi si caratterizza subito per l’attenzione alla marginalità e per uno sforzo inclusivo che abbraccia cristiani e non cristiani. Un attivismo che non si ferma davanti a nulla. Si schiera con gli operai in lotta, esprime sdegno per lo sgombero delle case dei rom in via Bovisasca, invita i suoi preti a visitare anche le case degli islamici, se la prende con una politica «troppo attenta ai muri e poco alle persone», ripete spesso che «i diritti dei deboli non sono diritti deboli». Nella città dove il rischio di ghettizzazione è sempre più elevato predica accoglienza, dialogo, lavoro dignitoso. Sul versante pastorale, i suoi piani triennali sull’impegno missionario della Chiesa ambrosiana e quello sulla famiglia hanno lo stesso sguardo largo e sorridente degli interminabili saluti a cui si consegna, con evidente compiacimento, dopo ogni visita pastorale.
E le amarezze a cui abbiamo accennato? Ci sono anche quelle. Al di là delle sgradevoli bordate della Lega per le sue aperture verso gli immigrati – che Tettamanzi considera quasi inevitabili – sono gli attacchi “interni” che lo feriscono più profondamente. Come la lettera al Papa firmata da don Carron in cui si lamenta tra l’altro che nella diocesi di Milano prevalga «un malinteso senso del dialogo che spesso si risolve in una autoriduzione della originalità del cristianesimo». E il triste episodio di cui è protagonista l’allora segretario di Stato, cardinale Bertone che pretenderebbe – se il Papa non lo fermasse – di sollevarlo anzitempo dalla presidenza del Toniolo. Lui ascolta, soffre e tace. A chi lo esorta a replicare pubblicamente, a scendere in campo per denunciare la scorrettezza di quei comportamenti, ripete pacatamente: «La mia bussola è la parola del Vangelo e le esigenze profonde stampate in ogni persona».
Fonte www.avvenire.it
La preghiera a Maria che scioglie i nodi è una delle suppliche più usate dai cristiani per chiedere aiuto alla…
'Asciuga Bambino Gesù le lacrime dei fanciulli!'. Recitiamo in questo tempo di Avvento la preghiera più dolce di San Giovani…
Una nuova settimana in compagnia di Padre Pio Leggi le frasi di Padre Pio e invoca la sua potente intercessione…
Benvenuti sul sito www.papaboys.org! Siamo lieti di presentarvi la preghiera della sera alla Madonna di Lourdes, intitolata 'Io sono l'Immacolata…
POZZUOLI - Assegnato al giornalista siciliano Salvatore Di Salvo, segretario nazionale dell’Ucsi e Tesoriere dell’Ordine dei Giornalisti di Sicilia, il…
La preghiera all' Immacolata di Giovanni Paolo II Una potente supplica di Giovanni Paolo II a Maria Santissima.. Il testo:…