Morto Marco Pannella – Quell’amicizia che ha cambiato gli schemi

Oggi è morto Marco Pannella, l’amico del Papa. Chi ci avrebbe scommesso, fino a due anni fa, su un epitaffio così? Sarebbe stato quotato infinitamente meno del Leicester campione d’Inghilterra. La loro amicizia era nata il 25 marzo 2014. Il Papa aveva telefonato al leader radicale perché stava facendo l’ennesimo sciopero della sete. Gli aveva detto che era un uomo coraggioso, dopo di che avevano iniziato a parlare del problema delle carceri. L’ultimo contatto, almeno pubblico, è stato pochi giorni fa, il 2 maggio scorso, quando Marco aveva compiuto 86 anni e il Papa gli aveva regalato il suo libro sulla Misericordia e una medaglia della Madonna con Bambino. Sembra che nel frattempo Pannella fosse così entusiasta del vescovo di Roma da ingenerare negli ascoltatori di Radio Radicale, il timore di una conversione in fin di vita.
Ora, che Dio sia Padre è una verità teologica: che lo sia anche il Papa non è una bella cosa? Dio è Padre perché i padri, di un figlio, vedono sempre il bene che c’è. Anche quando il bene è un fiammifero in una stanza buia, loro vedono così tanta luce da riconoscere il loro figlio. Perché il bene c’è sempre e sempre un padre lo vede.
Il Papa è padre in questo. È un papà. L’accento che gli manca grammaticalmente, non gli manca nel cuore, nella mente, nella volontà. Non c’è da scomodare le parabole. Ricordo quando il padre di Erika – quella che nel delitto di Novi Ligure aveva ucciso insieme al fidanzatino Omar, l’altro fratellino e la madre – disse che l’unico suo desiderio era di poter tornare a vivere con la figlia: che era tutta la famiglia che aveva perché tutto il resto della famiglia glielo aveva portato via lei, Erika.
Definire Marco Pannella “l’amico del Papa” è raccontare di un abbraccio che va verso un figlio che negli anni ’70 ’80 – gli anni dei referendum su aborto e divorzio – veniva definito “indemoniato” da molti cattolici.
Il Papa ci insegna che i padri vanno incontro e abbracciano i figli perché sono padri e non perché il figlio è prodigo. Perché alla parabola del figliol prodigo, l’aggettivo “prodigo” – l’eufemismo con cui si copre la descrizione che del fratello minore fa il fratello rimasto a casa – è per noi, non per Dio. Per Lui, per Dio, un figlio è figlio, non è mai “prodigo”. È a sentire il fratello grande che quello piccolo ha speso tutto in vita dissoluta. Per un padre – lo insegnava Edoardo De Filippo – i figli sono figli. Non ce ne sono di buoni o di cattivi. C’è il male. Ma per Dio, un figlio è sempre capace di bene. C’è sempre nel calice un fondo di bene e Dio lo trova. Dio conosce la feccia del calice ma sa il sapore del bene e lo trova. Sempre. Come un padre. Perché è Padre. Papa Francesco ha abbracciato Marco Pannella con una telefonata. Gli è andato incontro come si fa con un figlio. Gli ha parlato delle carceri perché, come si abbraccia un figlio al telefono? Mettendo in comune con lui, il bene che si fa e che si è. Pannella e Papa Francesco parlarono di coraggio, di carceri, di diritti. Cose buone. Ognuno ha messo sul tavolo le sue. E con quelle carte hanno giocato. Come si trova il bene in un figlio? Pensando che quel figlio è un bene. Un dono. E allora un padre non cerca ma abbraccia. Telefona. Ascolta. Parla. Fa la strada insieme al figlio.
I ponti e i muri si costruiscono entrambi con i mattoni. Piccole opere di bene, parole buone, pensieri costruttivi, abbracci, telefonate, sorrisi e cortesie, tirano su un ponte. Dita puntate, giudizi senza la misericordia – cioè senza Dio – tirano su i muri. I padri fanno i ponti e scavalcano i muri.

Di Don Mauro Leonardi

Articolo tratto da IlSussidiario.net


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