“Nella caduta del Muro di Berlino San Giovanni Paolo II ebbe un ruolo da protagonista”. Papa Francesco, all’angelus di qualche tempo fa, ricordò con queste parole il 25esimo anniversario dall’abbattimento del simbolo della cortina di ferro, la linea di confine europea tra la zona d’influenza statunitense e quella sovietica durante gli anni della guerra fredda.
Papa Francesco volle sottolineare il ruolo principale che ebbe nella vicenda Karol Wojtyla, canonizzato proprio da Francesco il 27 aprile 2014 insieme a Giovanni XXIII. Il Papa ha sottolineato che il Muro, di cui è conservato un frammento nel giardini vaticani, “è stato simbolo della divisione ideologica dell’Europa e del mondo intero” e che la sua “caduta avvenne all’improvviso, ma fu resa possibile dal lungo e faticoso impegno di tante persone che per questo hanno lottato, pregato e sofferto, alcune fino al sacrificio della vita”.
La caduta del Muro di Berlino – scrive oggi De Carolis su Vaticannew.va – rappresentò anche per la Radio Vaticana un evento di grande portata. Per decenni una generazione di redattori e tecnici lavorò per sostenere quotidianamente la fede dei cattolici oltrecortina
La profezia sulla sua morte il “Mauer” la portava scritta da tempo su un breve tratto della sua infamia. Una striscia di lettere tremolanti, spruzzate con la vernice rossa, lunga cinque o sei metri – segmento da nulla rispetto ai suoi infiniti 150 km – stesa frettolosamente da qualcuno come un epitaffio anzitempo, storto e insieme nitidissimo, al di sopra dei graffiti sottostanti: “Prima o poi ogni muro cade”.
Quella che l’ignoto autore aveva impressa come una speranza sul cemento del Muro di Berlino – quando ancora per i tedeschi e un intero continente la parola libertà era scritta col filo spinato e crivellata dai mitra – nelle redazioni della Radio Vaticana è stata coltivata come una certezza dall’alba della Guerra Fredda fino a quella incredibile sera di 30 anni fa. Una certezza basata su una convinzione di fede – l’amore di Dio supera l’odio di qualsiasi totalitarismo – e galvanizzata dall’energia di una stagione di lotta durissima vissuta con piglio militante per almeno quattro decenni, con i giornalisti vaticani, specie quelli dell’Europa orientale, impegnati a lanciare giorno dopo giorno aliti di Vangelo ai polmoni della Chiesa oltrecortina, costretti dai regimi a una drammatica apnea.
«Il muro di Berlino non sarebbe caduto se non ci fosse stata la tavola rotonda polacca e le elezioni del giugno 1989 in Polonia, le prime elezioni (semi)libere in un paese comunista. Tutto però è iniziato nel giugno del 1979, quando Giovanni Paolo II è andato in Polonia. Lì a Varsavia, in Piazza della Vittoria, davanti ad un milione di polacchi, ha detto che con la elezione di un Papa polacco la Polonia era chiamata ad essere terra di una responsabilità cristiana particolarmente responsabile. E poi, congedandosi davanti ad una folla immensa, ha invocato la Spirito Santo: “Vieni e rinnova la faccia della terra”. Si è fermato per un attimo e poi ha aggiunto: “Di questa terra!”. Quella sera un amico, un grande filosofo, Jósef Tischner, mi ha detto: “Qualcosa deve accadere. Nessuno sa cosa, ma nulla potrà essere come prima”. Nell’agosto dell’80, un anno dopo, Lech Wałesa ha scavalcato i cancelli dei Cantieri Navali di Danzica ed è iniziata la epopea di Solidarność. L’ordine (o, forse meglio, il disordine) europeo sancito a Yalta, che aveva consegnato metà del continente al totalitarismo comunista ed all’imperialismo sovietico, è stato sfidato da una rivoluzione cristiana pacifica e non violenta che non ha mai sparso il sangue dei suoi avversari ma solo quello dei propri martiri ed ha fatto appello alla coscienza degli oppressori. È stata la rivoluzione delle coscienze».
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