In Terra Santa, la Società “Saint Yves”, Centro cattolico per i diritti umani, ha lanciato una nuova petizione per chiedere alla Corte suprema israeliana quale sarà il tracciato del muro di separazione con la Palestina che la stessa Corte ha autorizzato a costruire, lo scorso luglio. Un provvedimento in contraddizione alla precedente sentenza, che invece garantiva le proprietà della comunità cristiana residente nella zona, che ospita anche un monastero e un convento salesiani. Sull’argomento sentiamo il parroco di Ramallah, padre Ibahim Shòmali, intervistato da Elvira Ragosta:
R. – Tutti i nostri attivisti, dappertutto nel mondo – dall’America, l’Europa, l’Africa e l’Asia – stanno firmando questa petizione per esercitare una pressione forte sullo Stato di Israele e sulla Corte suprema israeliana, al fine di avere questa mappa il prima possibile.
D. – La questione del muro, oltre ai monasteri e alla scuola, riguarda anche le 58 famiglie cristiane che abitano la zona e i loro terreni: quale sarà il loro destino?
R. – Dopo la scorsa sentenza, ne è stata adottata un’altra che autorizza la costruzione del muro, e Israele afferma che resteranno solo i due monasteri con la Palestina, mentre tutti gli altri terreni saranno presi dall’esercito israeliano per la grande Gerusalemme. Però è assurdo che le case delle famiglie saranno in Palestina e i loro terreni, invece, nello Stato di Israele, perché, sì, Israele il primo anno darà a questi proprietari il permesso di entrare in Israele per lavorare i propri terreni, ma alla fine, come succede in altre parti della Palestina, glielo toglieranno. E alla fine questi terreni saranno presi dall’autorità israeliana come dei terreni che non hanno proprietari.
D. – La storia di questo muro è molto lunga e controversa: già nel 2004 c’era stata una sentenza della Corte Internazionale di Giustizia che si era espressa negativamente sulla costruzione di questo muro…
R. – Noi tutti, come la Corte internazionale di giustizia, siamo contro la costruzione di un muro: non è questo che garantisce la sicurezza, ma sono i “ponti”, come ha detto San Giovanni Paolo II. Noi non vogliamo che questo muro sia costruito nei nostri terreni. E se vogliono davvero costruirlo, lo facciano sul loro terreno e non rubando la maggior parte dei terreni palestinesi!
D. – La questione sicurezza è proprio quella motivata dal governo israeliano per la realizzazione di questo muro: esiste una questione di sicurezza in questa zona?
R. – La questione della sicurezza è esclusa! Lo scopo nel prendere tutti questi terreni è costruire la grande Gerusalemme per avere una città molto grande, come le capitali degli altri Paesi del mondo. La questione della sicurezza, se venite a Cremisan non c’è. Non c’è pericolo. Chi vuole oltrepassare il muro può fare atti terroristici anche con questa costruzione. La questione qui è che vengono presi terreni, per legare a Cremisan due insediamenti insieme: quello di Gilo e di Har Gilo.
D. – Come stanno vivendo le 58 famiglie interessate la situazione a questa costruzione?
R. – Sono state molto contente della prima sentenza della Corte suprema. In questo modo abbiamo ricevuto i nostri diritti ma quando è uscita l’altra decisione sono in pericolo, non sono contenti per niente. In attesa di come sarà la decisione vanno a pregare, a celebrare la Messa lì a Cremisan ricordando il Gesù lasciato nei Getsemani che viene a pregare con loro per salvare i loro ulivi.
Redazione Papaboys (Fonte it.radiovaticana.va)