Per il resto non concordo né con i toni né con la sostanza. La mia fede cristiana nasce da Cristo e il mio rapporto con Lui mi fa stare nella Verità che mi dà Vita e che mi indica la mia Via. Non c’è nulla al di fuori del mio cuore che possa mettere paura al mio rapporto con Dio. Nessuna tintura all’Hennè può macchiare la mia fede come non potevano farlo i cibi impuri degli ebrei al tempo di Gesù. Nessun velo può fare di me una mussulmana così come non mi può fare suora. Non esiste un vestito da cristiano ma esiste un cuore, una vita, abitata dallo Spirito Santo. Ogni giorno mi cimento su quanto sia facile e difficile spiegare il cristianesimo proprio perché non ci sono regole da seguire o un libro da adorare o abiti o barbe giuste. E invece proprio questi sono i motivi per cui l’Islam è facile (o difficile, dipende dai punti di vista). Sulle regole anche Gesù è stato confuso (o chiaro, dipende dai punti di vista). Lui, per dire tutto il cristianesimo, diceva una sola parola: seguimi.
Se dovessi far provare il cristianesimo non avrei nulla da far indossare ma potrei solo far vedere dove vivo e come vivo. È questa la forza e la debolezza di noi cristiani: la mancanza di segni e paletti. Siamo forti perché siamo deboli. Non c’è da strillare slogan contro ma da testimoniare con il rispetto, con l’amore, con quello che siamo, insomma. Ma forse il problema di quei titoli nasce proprio da qui: loro – noi – lo sappiamo chi siamo? Vestirsi da mussulmani, tatuarsi da mussulmani, mangiare dolcetti arabi, non fa di un cristiano, un mussulmano. Perché è dai tempi di Gesù che quello che entra nella bocca finisce nella fogna e ciò che conta è quello che esce dal cuore. Piano con le parole di indignazione, con le dichiarazioni di invasione. Non è che non posso dire che era poco opportuno fare la manifestazione di domenica e farla pure fuori del duomo. Posso e devo dirlo perché è poco educato e rispettoso. Ma poi è come i tatuaggi di Messi. Se un padre è davanti alla televisione con il figlio, può dire che non si farebbe mai mezzo metro di tatuaggio su un braccio ma non può temere che il figlio si tatuerà perché così fa Messi. E se invece davvero lo teme, scusate, ma il problema non sono Messi e il suo tatuaggio ma il fatto che lui non ha saputo, il padre, trasmettere il suo amore per il bello o la sua idea di rispetto del corpo o qualsiasi altro pensiero avrebbe voluto trasmettere e condividere con il figlio. Non è vietando a Messi di far vedere i tatuaggi o al figlio di guardare la partita che si risolve la questione.
Ma forse, poi, quelle che ho scritto sono solo parole a perdere. Perché ieri c’erano le regionali e i politici con i loro giornali, si sa, vogliono solo raccattare voti.
Di Don Mauro Leonardi
Articolo tratto da IlSussidiario.net
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