Sono musulmana e vi chiedo di non cancellare il Natale – “Provare ad evitare di offendere le sensibilità delle altre religioni annacquando le tradizioni natalizie non fa che alimentare il falso mito dell’intolleranza islamica” – Remona Aly, The Guardian
Che Natale sarebbe senza polemiche? Già dal 17esimo secolo i Puritani emanarono delle leggi che vietavano le celebrazioni natalizie.
E nel periodo della Rivoluzione, in Francia furono proibite le funzioni religiose di Natale e la galette des rois (torta dei re) fu rinominata Gâteau de l’Égalité (torta dell’uguaglianza), rimuovendo ogni riferimento ai Re magi e alla Natività. Nulla di nuovo sotto il sole, dunque. L’anno scorso Starbucks è finito in un polverone mediatico per aver rimosso, dalle proprie “tazze di Natale”, ogni simbolo cristiano. E quest’anno il Regno Unito è – nuovamente – attraversato dal timore che manifestare la propria identità culturale e religiosa possa offendere chi appartiene ad un’altra confessione di fede. Nello specifico, diversi datori di lavoro britannici si sono detti incerti se organizzare feste di Natale in ufficio e mandare cartoline ai dipendenti, perché temono seriamente di urtare la sensibilità di chi, tra il proprio team, appartiene ad una minoranza religiosa. Alcuni hanno vietato l’uso di decorazioni in ufficio e rinominato le “festività natalizie” in “festività invernali”.
David Isaac, il nuovo direttore dell’Equalities and Human Right Commission, ha esortato le aziende a gestire il rapporto tra lavoro e religione “sulla base del buon senso“, sottolineando che i datori di lavoro “non dovrebbero sentire alcun senso di colpa” nel condividere lo spirito del Natale con i propri collaboratori.
Isaac, ex responsabile dell’associazione per i diritti LGBT “Stonewall”, ha dichiarato in un’intervista al Sunday Times che “la libertà di religione è un diritto umano fondamentale e non dovrebbe venire meno per paura di offendere qualcuno“.
Negare la propria cultura finisce col danneggiare proprio le minoranze che non si vorrebbero offendere
Ci sono tanti luoghi comuni, sostiene Isaac, in merito alla percezione della religione sul posto di lavoro. “Non c’è niente di male nell’organizzare una festa o mandare delle cartoline di auguri. La maggior parte degli ebrei e dei musulmani che conosco, pur seguendo i dettami della propria religione, sono consapevoli di cosa sia il Natale e in un certo senso lo celebrano anche. Questa“, ha concluso Isaac, “è la realtà dei fatti, questo è ciò che vive la gente. Dobbiamo rifletterci“.
In questo clima di preoccupazione è illuminante un editoriale di Remona Aly sul The Guardian.
“La paranoia dell’offendere le altrui sensibilità religiose, paradossalmente, ha effetti contrari a quelli sperati“. La Aly, giornalista britannica di fede islamica, cita il caso della ‘notizia’ del divieto in Svezia di installare decorazioni natalizie in pubblico per non dare fastidio ai musulmani. Una vera e propria bufala – presto diventata estremamente virale, con più di 43mila reazioni su Facebook – che però fa capire quanto l’atmosfera sia diventata tesa. E dimostra che i tentativi di “annacquamento” della propria identità culturale, invece di creare un clima di distensione e convivenza pacifica, finiscono con l’esacerbare gli animi.
“A prescindere dalle buone intenzioni di questi datori di lavoro“, continua la giornalista, “le loro paure finiscono col danneggiare proprio quelle minoranze che non vorrebbero offendere. Sul serio, per me non è un problema. Se qualcuno pronuncia le parole ‘albero di Natale’, la mia fede non è affatto compromessa; se sento il Padre Nostro – che conosco a memoria da quando ero bambina – non inizio a sudare freddo. E vi rivelo un altro segreto pazzesco: a un bel po’ di persone che non sono cristiane il Natale piace da morire“.
E – se siamo in grado di fare una distinzione tra governi e popoli – non dovrebbe meravigliarci. Impossibile ignorare le varie restrizioni normative dal sapore tristemente discriminatorio, ma al netto di ciò va rimarcato che spesso – in molti paesi a tradizione islamica – cristiani e musulmani si scambiano gli auguri in occasione del Natale o di festività quali l’Eid al-Adha. Uno dei miei più cari amici è un siriano di Aleppo trapiantato a Roma; in questi giorni di guerra ricorda con nostalgia il clima natalizio nella casa di alcuni parenti cattolici.
E le esperienze condivise dalla giornalista del Guardian non fanno che confermare questa tendenza:
“Molte famiglie musulmane, all’avvicinarsi del Natale, creano conversazioni di gruppo su WhatsApp per parlare del ‘tradizionale’ tacchino halal”, racconta Remona. “E di solito sono i miei amici atei a mandarmi le prime cartoline di Natale. Per non parlare del mio amico Sikh che ha deciso di regalarmi ‘Rogue One: A Star Wars Story‘… quale miglior dono di Natale potrebbe fare un Sikh ad una musulmana?“.
“Le tradizioni uniscono i popoli e rafforzano la società“, sostiene la Aly. “Quando alcuni amici cristiani, ebrei, Sikh e agnostici mi hanno fatto gli auguri per la Festa del sacrificio, non vuol dire che fossero confusi; hanno semplicemente riconosciuto il valore che quella festa ha per me (ok, volevano anche mangiare dei dolcetti). Quando condivido alcuni rituali dello Shabbat con i miei amici ebrei, o quando faccio gli auguri per il Diwali ai miei amici Hindu, non perdo affatto il senso di chi io sia; anzi, fortifica ciò in cui credo, pur facendomi apprezzare l’ampia pluralità del panorama religioso e culturale del Regno Unito“.
Ma se i datori di lavoro prendono delle “inutili misure preventive“, dando per scontato che i dipendenti non cristiani “si offendano a morte se qualcuno dovesse chiamare ‘albero di Natale’ un albero addobbato durante il periodo invernale“, non fanno che gettare benzina sul fuoco. E, spiega la Aly, questo approccio “non aiuta affatto chi appartiene, come me, ad una minoranza religiosa“.
“A me … il Natale piace perché trasmette compassione, speranza, senso di famiglia. Ecco perché” conclude la giornalista, “auguro a chiunque lo celebri, lo segni sul calendario o addirittura semplicemente lo riconosca, un buon Natale“.