“La chiusura della settimana di preghiera per l’unità dei cristiani è stata celebrata in modo del tutto particolare in Ciad perché è coincisa con la terza Giornata nazionale della coabitazione pacifica” afferma una nota inviata all’agenzia Fides da padre Clément Marie Bonou, dei Francescani d’Immacolati di Maria. “Si tratta – spiega il religioso – di un’iniziativa organizzata congiuntamente dall’arcidiocesi di N’Djamena, dal Consiglio Superiore degli Affari Islamici e dall’Intesa delle chiese e delle missioni evangeliche in Ciad al fine di promuovere il dialogo interreligioso e permettere ai ciadiani di diverse confessioni religiose di vivere in un clima di amore e di pace”. La Giornata doveva essere celebrata il 28 novembre ma è stata posticipata a causa della morte, il 19 novembre, dell’arcivescovo di N’Djamena, mons. Mathias Ngarteri Mayadi, che è stato il promotore dell’iniziativa. “La presenza del Presidente della Repubblica e dei membri del suo governo denota il bisogno di tutti di operare perché regni la pace e l’unità nella regione dell’Africa Centrale attualmente sconvolta dai disordini” commenta padre Bonou, con un chiaro riferimento alla crisi nella confinante Repubblica Centrafricana, dove soldati ciadiani fanno parte delle Missione dell’Unione Africana incaricata di contribuire a riportare l’ordine nel Paese, dove la convivenza tra le comunità cristiane e musulmane è messa a dura prova dai recenti avvenimenti. “Nelle loro preghiere, i leader delle tre grandi comunità religiose, tra i quali mons. Joachim Kouraleyo Tarounga, vescovo di Moundou in rappresentanza della Chiesa cattolica, hanno chiesto a Dio di benedire il Ciad e di accordare la grazia alle autorità nazionali. Una preghiera unanime è stato rivolta per la pace nella Repubblica Centrafricana”.
Esaminiamo la vicenda della giovane Malala Yousafzai. La ragazza in questione, il 9 ottobre 2012 è rimasta vittima di un attentato talebano nella Swat Valley, area montagnosa della provincia di Khyber Pakhtunkhwa, al confine con l’Afghanistan, roccaforte degli estremisti islamici. È stata colpita mentre si trovava a bordo dello scuolabus che l’avrebbe accompagnata a casa, dopo aver concluso le lezioni del mattino. La giovane, salvata grazie a una campagna di mobilitazione internazionale, era diventata famosa nel 2009 all’età di 11 anni, per aver tenuto un blog sul sito in lingua locale della Bbc in cui denunciava gli attacchi dei fondamentalisti islamici pakistani contro le ragazze e gli istituti scolastici femminili. “Vergogna, vergogna, vergogna!”. Non usa mezzi termini l’attivista pakistano Tahir Anjum, nel commentare la decisione delle autorità provinciali di Khyber Pakhtunkhwa di bloccare la presentazione di un libro biografico incentrato su Malala Yousafzai. Presso l’Area Study Center dell’università di Peshawar era in programma il lancio di “I am Malala”, scritto dalla giovane pakistana divenuta un simbolo nella lotta per l’istruzione femminile e della resistenza contro la violenza islamista e talebana. Tuttavia, il giorno precedente sono intervenuti a più riprese i vertici governativi della provincia – due ministri (Shah Farman e Siraj ul Haq) hanno avvicinato il direttore del centro studi, poi è stata la volta della polizia – che sono riusciti a cancellare l’evento per non meglio specificate ragioni di “ordine pubblico e sicurezza”. Il dipartimento ha cercato di opporre una strenua resistenza, ma avvertimenti e minacce in stile mafioso hanno infine prevalso.
Organizzazioni pro diritti umani e membri della società civile assicurano che l’evento verrà riprogrammato nei prossimi giorni, ma resta l’amarezza per l’abuso commesso dalle autorità e la palese violazioni della libertà di pensiero. “Sarebbe questa la nostra democrazia?” accusa Tahir Anjum, una realtà in cui “non è possibile lanciare un libro scritto da una ragazzina”. Egli aggiunge che la vicenda “farebbe impallidire anche il più spietato dei dittatori” ed è specchio della “progressiva talebanizzazione” del Paese. In Pakistan, aumentano pericolosamente i rigurgiti contro i cristiani. I fondamentalisti, cercano a tutti i costi di islamizzare il paese, attaccando tutti quelli che non vogliono scendere a simili compromessi. Lungo la frontiera nord-occidentale, dove in alcune aree vigono Sharia e Corti islamiche, considerate delle vere e proprie roccaforti dei talebani pakistani, sono state centinaia le scuole – anche cristiane – chiuse per attentati o distrutte dagli estremisti. A farne le spese sono decine di migliaia di studentesse e almeno 8mila insegnanti donne, il cui lavoro è a rischio. La fede non può essere imposta con le armi e la violenza. Basta, in nome di Dio, guerre, omicidi, intimidazioni. Chi crede non può diventare assassino. I veri credenti sono coloro che rispettano gli altri e portano nel mondo la pace e non la distruzione. a cura di Ornella Felici
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