Di solito, il meccanismo si ripete uguale a se stesso: se in città si spara ed il sindaco è di Destra, tutta la Sinistra corre e si agita contro la “repressione che non funziona.” Se in città si spara ed il sindaco è di Sinistra, tutta la Destra corre e si agita contro la “mancanza di sicurezza.” E se il sindaco è “Arancione?” In quel caso tutta la Destra e tutta la Sinistra corrono e si agitano a dire che in città c’è un problema: la camorra.
Così, d’un tratto, persino i sellini vozziani, specie in via d’estinzione, pronta all’autoscioglimento in attesa del parto gemellare di Landini e Civati, scoprono che a Napoli si muore, che ci sono i cattivi, che si spara in mezzo alla gente e che se vai all’università rischi di farti la “bua.” I giovani universitari, per non saper né leggere né scrivere, socializzano sui social tuonando contro “lo schifo di questa città”, contro “l’invivibilità delle nostre terre”, contro “il rischio di morire in pieno giorno, in pieno centro.” Ed in pieno maggio, perché no?
Sono uno di loro, uno che spara anche io. Da camorrista navigato, non posso che consigliare a tutti questi giovani un minimo di dignità. Si, da camorrista non pentito, da criminale vero o presunto. Abbiamo alzato troppo il tiro? Sparare in pieno giorno in un luogo così affollato è un assurdo? Dai, ma siete fessi o cosa? Succede da sempre, abbiamo ammazzato sempre in pieno giorno, abbiamo sparato nei luoghi più frequentati, financo davanti alla scuole. Abbiamo ucciso bambini per sbaglio, altri per vendicarci. È vero, capita sempre meno. Ma non perché la cultura mafioso-camorristica sia meno radicata: semplicemente abbiamo imparato che gli affari si fanno nel silenzio omertoso, nostro e vostro.
Per un po’ non sentirete spari al centro di Napoli, continueremo a fare morti tra Barra e Ponticelli. Contenti? Ecco, noi siamo fatti così: siamo camorristi ragionevoli. Oggi spariamo qua, domani no. Non diamo troppo fastidio, così voi giovani universitari vi lamenterete della brutta e cattiva camorra per poco, non troppo, salvo poi tornare serenamente a fottervene. Io, dopo anni di branda, ho imparato a starmene zitto; voi, universitari impegnati nel disimpegno, siete nati col talento del silenzio. Una cosa, però, ve la dico: anche quando non spariamo, noi ci siamo. Esistiamo. Anzi, facciamo molti più soldi quando di pistole non ce ne sono: agenzie di scommesse, bar, ristoranti, discoteche. Eh, sia chiaro, tutto in pieno centro! Eppure nessuno di voi, studenti brillanti, menti sopraffine, scrive mezzo rigo sui nostri affari: a “San Pasquale”,ad esempio, cari giuristi in “erba” e con l’erba, non ci siamo secondo voi? Si, ve lo dico io. Noi là ci siamo, e voi lo sapete benissimo. Ma siete così, vigliacchi e paraculi.
Hanno ragione quelli che dicono che ci spariamo tra di noi: Fittipaldi non era un santo. Ora ci stiamo nuovamente assestando, stiamo ritrovando nuovi equilibri. Per questo qualche colpo di rivoltella in più può capitare. Ma è un colpo intelligente, mirato. Guardate ciò che è successo a Secondigliano: quello è un matto, un pazzo scriteriato. Noi no, noi siamo chirurgici. E così, qualcuno di voi, cari studenti, ha l’occhio più lungo degli altri quando dice che in fondo è “meglio che si ammazzano tra di loro, senza dar troppo fastidio.” Bravo! Così avete sempre ragionato, così i vostri padri, così i vostri nonni. Continuate serenamente, altro non è alla vostra portata.
Vi saluto con un piccolo aneddoto: quando entrai in carcere, per misere questioni di contrabbando, ero in cella con un vecchio boss di Avellino. Un uomo giusto, lui. Mi ripeteva sempre una frase: “I giovani sono un problema.” Aveva paura e non lo nascondeva. Temeva che proprio voi, voi studenti, poteste cambiare le cose. Era terrorizzato dall’idea che l’istruzione potesse intaccare la forza invincibile della cultura mafiosa. Ad oggi, cari studenti, mi sento di dire che voi, proprio voi giovani colti e studiosi, siete per noi non un problema, ma una risorsa. Grazie, continuate pure a fingere di non vedere. Nei secoli. Di Mauro Malafronte
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