R. – La camorra a Napoli, ma soprattutto in alcuni quartieri, è l’unica realtà ormai diventata istituzionale. Il problema è che è talmente sottile il modo e il sistema con cui la camorra opera, che anche la magistratura può solo in parte intervenire e quindi sanare la questione. Credo che, oltre ad un problema di tipo repressivo, quello che manca è una visione politica più complessa e complessiva, che va dall’educazione dei giovani alle opportunità lavorative alla tutela dell’impresa. Il fenomeno è molto complesso.
D. – Ma c’è anche un problema sulla definizione della camorra?
R. – La radice del problema è che dove ci sono denari, dove ci sono appalti, dove ci sono forniture, la camorra riesce a sviluppare tutta la sua rete di interessi. Il problema è che non è solo la manovalanza ad essere camorrista, ma non c’è impresa, non c’è imprenditore, non c’è realtà, anche della borghesia napoletana, che in qualche modo non sia coinvolta in questo costume, che è un costume veramente deleterio. Riconoscere questo vuol dire, da parte dell’istituzione, anche riconoscere un fallimento di molto tempo rispetto a questo sistema.
D. – Quali sono le conseguenze di questi atteggiamenti polemici?
R. – Certamente non giova, e bisogna tener conto che, della malavita, più se ne parla e più è contenta. Un po’ come le fiction televisive, che dicono molte cose false. L’importante, però, è che si parli della camorra. Questo vuol dire che la camorra ha un potere. Gli interessi della camorra non sono solo economici, ma sono degli interessi culturali. Loro dominano la cultura del popolo e questo danneggia certamente uno sviluppo della socialità della cittadinanza. La polemica, anziché unire le responsabilità e fare corpo unico, tende a disfare una rete e questo non fa che giovare alla stessa camorra.
D. – Qual è, secondo lei, il ruolo dei media in questo processo?
R. – I giornalisti hanno un’arma molto efficace, quella dell’indagine, dell’inchiesta, per mettere alla luce quelli che sono i traffici illeciti. Quindi il miglior contributo che i media possano dare è quello di alzare il coperchio di tutta questa realtà, dove chi fa le spese maggiori sono i poveri, sono la popolazione, a cui non arriva nessun beneficio. Un giornalismo che raccolga i dati, che raccolga la documentazione, che faccia lavoro d’inchiesta è un giornalismo sano, che può servire anche all’educazione popolare.
A cura di Redazione Papaboys fonte: Radio Vaticana
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