La ripresa italiana non solo è una delle più deboli del mondo, ma ha anche il difetto di non essere “inclusiva”, cioè di non riuscire a migliorare la situazione economica della parte più debole della popolazione. I numeri dell’indagine dell’Istat su condizioni di vita, reddito e carico fiscale delle famiglie nell’ambito del progetto europeo Eu-Silc confermano l’immagine di un Paese in cui aumentano le diseguaglianze e la povertà.
Anche in un anno come il 2015, che pure è stato positivo, con il reddito medio delle famiglie italiane che è tornato a crescere, con un aumento dell’1,8% arrivato dopo una caduta del 12% tra il 2009 e il 2014.
Diseguaglianze in crescita
Le famiglie hanno più soldi da spendere rispetto agli anni peggiori della crisi: 29.988 euro di reddito netto annuo, in media. Le medie però hanno sempre il problema che il poeta Trilussa aveva magistralmente sintetizzato in romanesco: «Secondo le statistiche d’adesso risurta che te tocca un pollo all’anno: e, se nun entra ne le spese tue, t’entra ne la statistica lo stesso perché c’è un antro che ne magna due». L’Istat precisa che la crescita del reddito medio è il frutto di un forte aumento delle entrate del 20% più ricco degli italiani, in particolare dei lavoratori autonomi, che si sono rialzati dopo anni difficili. Il rapporto tra il reddito del 20% più ricco della popolazione e il 20% più povero è balzato così dal 5,8 del 2014 al 6,3 del 2015.
Le diseguaglianze dei redditi si allargano e questo avviene in un contesto in cui le disparità sono già molto elevate: l’indice per misurare le diseguaglianze elaborato dallo statistico veneto Corrado Gini nella prima metà del ’900 e diventato lo standard internazionale mostra che con 0,331 punti su una scala dove 0 è assenza di diseguaglianza e 1 è massima diseguaglianza l’Italia è il ventesimo Paese meno egualitario d’Europa.
Che cosa significa “a rischio povertà”
La crescita delle diseguaglianze non sarebbe così allarmante se non si accompagnasse a un aumento della povertà. L’Istat conta 18,1 milioni di italiani che secondo i criteri europei vivono in famiglie a rischio di povertà o esclusione sociale. È il 30% della popolazione, quota in aumento per il terzo anno consecutivo (era al 28,7% nel 2015) nonché il dato più alto da quando, nel 2004, sono inziate le indagini Eu-Silc. Sono tre i parametri che il progetto europeo utilizza per inserire le famiglie nella categoria “a rischio povertà o esclusione sociale”.
Il primo riguarda il reddito “equivalente”, quello che tiene conto anche delle economie di scala che si possono fare all’interno di una famiglia: se quel reddito è inferiore al 60% della mediana nazionale (la mediana è il dato che divide esattamente a metà la popolazione, con metà che guadagna di più e metà che guadagna di meno) allora la famiglia è considerata a rischio povertà. È in questa condizione il 20,6% delle famiglie italiane, percentuale in crescita rispetto al 19,9% del 2015.
Il secondo criterio è la grave deprivazione materiale: è in questa situazione chi vive almeno quattro di nove tipi di problemi economici, come ad esempio non potersi permettere un pasto adeguato ogni due giorni o non riuscire a sostenere una spesa imprevista di 800 euro. È in uno stato di grave deprivazione materiale, calcola l’Istat, il 12,8% degli italiani, un punto in più rispetto all’11,7% dell’anno precedente.
Il terzo criterio è quella della bassa intensità lavorativa, ed è la situazione del 12,8% delle famiglie italiane (era l’11,7% nel 2015) in cui le persone di età compresa tra i 18 e i 60 anno hanno lavorato meno di un quinto del tempo.
Chi rischia la povertà
Chi si trova in almeno una di quelle tre condizioni finisce nel novero delle “persone a rischio di povertà o esclusione sociale”. La media nazionale del 30%, ma dietro ci sono situazioni molto diverse per geografia e tipo di famiglia. Al Sud e nelle Isole la quota di popolazione a rischio povertà vola al 46,9% delle famiglie, mentre salendo lungo la Penisola si scende al 25,1% delle famiglie dell’Italia centrale per arrivare al 21% del Nord-ovest e al 17,1% del Nord-est. Sono tutte percentuali in crescita rispetto ai dati del 2015, con il Nord-ovest che segna l’aumento più forte, salendo di 2,5 punti.
Se si guarda al numero di componenti, le coppie di anziani senza figli sono le famiglie dove la povertà è meno presente (il dato è un 17,5%), mentre le famiglie numerose sono quelle con più problemi: è a rischio ben il 47,3% di quelle con almeno tre bambini (c’è però un miglioramento rispetto al 51,2% dell’anno precedente) e il 30,8% di quelle con due figli piccoli. I single sono un’altra categoria debole: è a rischio povertà il 34,9% delle famiglie con un solo componente. Spicca poi il dato che tiene conto della nazionalità dei componenti della famiglia, che fa emergere la povertà di quelle con almeno uno straniero: è a rischio il 51% di queste famiglie, contro il 27,5% di quelle di soli italiani.
Ai margini dell’Europa
Quello che emerge dal confronto europeo è che l’Italia se la gioca davvero con le aree più poveri dell’intera Unione europea. La Sicilia, la Campania e la Calabria, nell’ordine, guidano la classifica delle Regioni europee con il più alto tasso di popolazione a rischio povertà o esclusione sociale, rispettivamente con il 55,5, il 50,4 e il 48,2% degli abitanti considerati vulnerabili. Dopo di loro, due regioni bulgare, una rumena e infine le Canarie. Anche se si prende quel 30% di media nazionale italiana, il confronto è impietoso: il tasso di popolazione a rischio povertà è superiore solo in Bulgaria, Romania, Grecia e Lettonia. La Spagna con il suo 27,9% va un po’ meglio dell’Italia mentre Francia (18,2%), Germania (19,7%) e Gran Bretagna (22,2%) restano lontane.
Si fa ancora più lontano, ma da tempo è evidente che era irraggiungibile, l’obiettivo che l’Italia si era data nel 2008 nell’ambito della “Strategia Europa 2020”. L’Unione Europea si era impegnata ad allontanare dalla povertà 20 milioni di persone, invece si ritrova con 848mila poveri in più. L’Italia doveva fare la sua parte riducendo il numero di persone a rischio da 15,1 a 12,9 milioni. Solo che invece di 2,2 milioni di cittadini a rischio povertà in meno, il nostro Paese oggi ne ha 3,1 milioni in più. Se tutt’Europa ha grossolanamente mancato il bersaglio, in buona parte è colpa proprio dell’Italia.
Fonte avvenire.it
se si considerassero anche le pensioni da fame,credo che questo dato lieviti quasi a dismisura!!ma come disse san giovanni paolo2 arriverà presto il giudizio di Dio!!!!!meditano i lorsignori della classe dirigente e politica,con l’ausilio forse anche di nostra madre chiesa,che a mio avviso poco ha gridato questo furto contro i più piccoli e deboli!bisognerebbe ricordare non solo le parole d’amore di nostro signore gesù cristo, ma anche …via da me maledetti nel fuoco eterno perchè avevo fame….. meditate meditate