Per tutto l’anno il lago dorme come un piccolo specchio incantato.Le pendici dell’Umbria ad oriente e della Chiana ad occidente vi si riflettono nel fondo simili a nidi sepolti di usignoli. I torrenti vi scrosciano dentro con le loro acque odorose di mentastri e di timo. Quando il sole accende i colli all’intorno, il lago dondola un poco come una conchiglia d’argento.
Le notti di pioggia un fiotto di schiuma canta sulla bocca dei venti, e un falco sbatte famelico le ali su i cannetti spiando, con l’occhio torbido, il luccichio di un pesce che aggalli sulle alghe. Nei meriggi consueti rimane laggiù fermo e spianato come una tavola di piombo. Nei tramonti di marzo, le nubi vi si specchiano sopra leggere come una frana rossa di peschi in fiore, e tra le pause della pioggia, l’arcobaleno sboccia e fa ridere le onde in un cerchio di colori.Ma una notte di estate, ogni anno, quando anche le stelle cascano dal cielo con lacrime d’oro, su le acque si stende una strada bianca, un largo solco di sole che adagio sussurra la leggenda lontana.E prima che l’alba di quel giorno si levi, si affacciano su le rupi i pastori, spingendo il gregge in proda al lago: i pescatori non sciolgono la barca, ma si curvano sulle acque, bagnandosi la punta della mano e si tracciano in fronte un ampio segno di croce…
Era Mustiola dell’imperiale stirpe dei Claudi. Bella sopra tutte le giovinette romane aveva, non ancora quindicenne, abbracciata la luce del Vangelo, e scelto Cristo a suo sposo. Formato del suo cuore una cella, lo custodiva ogni giorno difendendolo dagli assalti della corruzione pagana.
Cresceva così come un fiore nato miracolosamente sugli scalini insanguinati della reggia dei Cesari, e del male sentiva il rumore come un’eco che più non avesse volontà di nuocerle. Tanto era il gaudio della sua fede che talvolta le sfavillavano gli occhi vaghissimi pieni di una bruna austerità.Claudio II, suo zio, aveva per lei una specie di fanatica adorazione.E quanti disegni non faceva su quella creatura gentile!Le avrebbe trovato uno sposo nobile, patrizio, carico di quattrini, magari qualche figlio d’imperatori, giovane come un dio, forte come Giove.Ma s’ingannò presto perché Mustiola viveva piuttosto appartata da ogni divertimento, da ogni compagnia.L’imperatore allora dubitò che la nipote professasse, in segreto, quella fede dei cristiani da lui tante volte maledetta e perseguitata.
— Tu sei cristiana?! — le chiese una mattina, pieno di stizza.Mustiola, alzando la fronte in faccia allo zio, con dolcezza consueta, rispose:
— Sì, sono felice di essere cristiana.
— E non sai tu — riprese l’imperatore — a quali tormenti sono destinati i cristiani?
— Lo so.
— E non rifletti che io potrei farti uccidere, ardere viva, gettare in cibo alle belve!?
— Sarei martire, che gioia per me!
— Ascoltami, la tua vita sta nelle mie mani: fino a oggi sei vissuta in questa casa dove tutti mi servono e mi rispettano, ma da ora innanzi ti abbandonerò in braccio al tiranno, no, anzi se resisti, io stesso con la mia spada ti strapperò gli occhi .
— Calmatevi, zio — supplicò Mustiola accesa di una dolcissima luce in viso — calmatevi, davanti a Colui che è morto per tutti svenato sulla croce, ogni minaccia è vana. Egli è Cristo Gesù figlio di Dio vero a cui ho giurato fedeltà di sposa.
— Vattene — gridò l’imperatore — via lontano da me! — e chiamati i soldati la fece imprigionare.
Ella, serena nel fondo dell’orribile carcere, s’inginocchiò pregando per i suoi persecutori. E subito nella notte una luce abbagliante le rifulse davanti e una voce dolcissima scendendo dal cielo le diceva
— Va’ Mustiola, alla città di Chiusi e predica il mio vangelo, battezza nel mio nome!
— Chi sei tu o voce soave che mi parli? — chiese Mustiola.
— Io sono quel Gesù che tu ami.
Brancolando ella si alza: all’improvviso le catene che tenevano avvinti ai ceppi i suoi piedi, si spezzano, le porte si spalancano, ed ella cammina sotto il lume delle stelle, nella flotte di estate.
Appena che, al mattino, l’imperatore seppe della misteriosa scomparsa di Mustiola, ordinò ai soldati le più accurate ricerche!Essi vanno, indagano in ogni angolo della città di Roma, si sperdono per le campagne, e finalmente denunziano all’imperatore il loro sospetto che la Vergine sia comparsa nell’Umbria.
— Andate — disse l’imperatore — conducetela a me, o viva o morta, voglio che la mia nepote sia rintracciata.
E i soldati armati di frecce e di faretre montano a cavallo, si spingono attraverso i boschi, per le pianure dell’Umbria, tenendo d’occhio la via che mena a Chiusi.I cavalli nistriscono scotendo le ampie criniere sotto il fulvo sole del giugno maturo. Ma fra i cavalieri vi è un uomo attempato, dalla fronte ossuta, dalle folte sopracciglia, il padre di Mustiola.Il fiero pagano è armato da capo a piedi. Talvolta si scorgono i suoi pensieri come nere nubi sulla sua fronte, tal’altra egli digrigna i denti, o scruta con la feroce pupilla se per caso, da un angolo della strada, veda apparire la figlia.Il cuore gli batte dentro come un battaglio, il suo volto diventa di mille umori, di cento colori.Immagina di avere già fra le mani la bella figlia, di afferrare le sue nere e lunghissime chiome, stringerle come un nodo di paglia, di vibrare su quel bianchissimo collo un colpo di scure, ma trema…
— Mia figlia, l’unica mia figlia, la più bella delle fanciulle di Roma! Non l’ucciderò, me la caricherò sul cavallo e la ricondurrò a casa e sacrificherà agli dèi…
Sulle campagne sorridono le messi, sugli alberi è tutto il lume della prima estate e cantano, fra i cretti dell’antica e riarsa terra, le cicale. A notte, si piegano i cieli come una fuga azzurra sotto il pianto delle stelle.Intanto Mustiola, a grandi tappe, era giunta nei pressi della città che il Signore le aveva additato.Quantunque il viaggio fosse stato lungo, pure l’Angelo di Dio comparendole l’aveva confortata. Ella aveva domandato un tozzo di pane come una mendica di casolare in casolare e una giumella di acqua ai ruscelli del monte.Ravvolta nel suo manto azzurro, intrepida, seguiva la sua strada verso la città degli Etruschi immersa nell’idolatria, e già ne vedeva le belle torri oltre il lago tra un bianco ondeggiare di ulivi, quando sentì alle spalle un trotto concitato di cavalli.Era da poco tramontata la prima stella, e la notte di estate si apriva come un ricamo nei firmamenti.Dormivano i greggi dentro le capanne in riva al lago e su le onde non si distendeva che il silenzio turchino.
I pescatori sognavano, su i loro giacigli, migrare di tinche e lucide regine, e i bifolchi mucchi di grano sonanti.Quanto Mustiola si accorse di non essere più inseguita, levò gli occhi al Cielo e: — Signore — disse — insegnatemi la mia via…
E subito le brillò nella mente il pensiero di levarsi il mantello, di stenderlo sulle acque e di salirci sopra come in una sicura barchetta.Presto il mantello ondeggia, s’irrigidisce come una tavola, sul lago, un venticello improvviso lo spinge, e la Vergine vi siede sopra con le mani sui ginocchi e le pupille levate in alto.I cavalieri vedono una striscia di sole nascere, allargarsi sulle onde e una fanciulla vaghissima con le chiome disciolte che si allontana leggera su la strada misteriosa delle acque, che va e va come una cometa caduta dal cielo, una barchetta d’argento, frusciando verso l’approdo lontano.
Inorridiscono battendosi la fronte e spingono a furia i cavalli su quel solco di luce, ma le bestie s’impennano, si slanciano in fuga sulle acque, si ode un rantolo nei gorghi profondi, s’inabissano come ombre nere tinte di fuoco. E la strada di luce scintilla sulle onde, si allarga, diritta e bianca quasi che gli angeli vi abbiano ammucchiati tenerissimi fasci di gigli. I pesci affiorano leggeri, spalancando le boccuccie con segni di sorpresa, allargano la coda con luccicori d’argento, e su le pendici dell’etrusca città si svegliano i nidi cantando all’aurora, e dai capanni in riva al lago si destano anche i pastori e i pescatori.Mirano la bella strada di sole e non credono ai propri occhi, afferrano le barche, si slanciano allargo, ma la strada seguita a brillare fino all’alba. Allora una notizia lieta si sparge in mezzo ai campi: è arrivata la Santa.
Oggi la Santa riposa dentro un’urna nella bella cattedrale di Chiusi. Ha le pupille velate di dolcezza, e le mani congiunte stringono devotamente una palma. Il sogno del suo martirio si avverò un giorno che se ne stava in orazione dentro le catacombe dell’etrusca città. Ma il Signore ogni anno rinnova il miracolo della via luminosa sul lago. E la notte del tre luglio sulle acque si stende una striscia d’oro a indicare che i Santi passarono nella vita tracciando una bionda strada. E per tutto quel giorno il lago scintilla come una festa di sole.
Fonte: Tratto dal libro Leggende Toscane – Lucio Pugliese ed. Firenze
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