Caro don Antonio, sono una mamma e ho due bambini di 4 e 6 anni. Nella scuola elementare del maggiore si è deciso quest’anno di non preparare il presepe e l’albero, canti e letterine, ma è stata indetta la Festa dell’amicizia. Secondo la direttrice è l’unico modo per tutelare la pluralità di religioni che convivono nelle classi, per non offendere o confondere nessuno. E’ giusto perdere la nostra ricchezza culturale per non ferire le altre? Come condividere una tradizione importante come il Natale con atei, musulmani e così via?
Chiara, Roma
La prima risposta che mi viene in mente è che si tratta solo di scuse perché dà fastidio parlare di Gesù. Tuttavia, presupponendo la buona fede di direttrici e insegnanti, possiamo fare qualche ragionamento in più. Forse qualche bambino si può offendere o sentirsi confuso ascoltando la storia della nascita di Gesù? E perché mai? E’ un bel racconto che piace ai piccoli, a prescindere dal credo dei genitori. D’altra parte come spiegare il motivo per cui si fa festa, ci si scambiano gli auguri, si ricevono tanti regali, le città e i paesi si riempiono di luci se non ricordando che più di duemila anni fa, a Betlemme, è nato questo bambino che per i cristiani è il Figlio di Dio incarnato? E’ anche un’occasione per spiegare alcune caratteristiche della nostra cultura e delle nostre tradizioni, dell’arte, della letteratura, della poesia.
Genitori atei o agnostici possono presentare i racconti dei Vangeli dell’infanzia come una bella favola, che invita comunque a essere buoni, accoglienti, pieni di fiducia nella vita. All’indomani del solstizio d’inverno, cioè proprio nei giorni del Natale, le giornate cominciano impercettibilmente ad allungarsi e questo già presso i popoli antichi era un auspicio positivo indicava la rinascita della speranza, la luce nuova che metteva nel cuore la certezza che il buio e il freddo non sarebbero durati per sempre. I cristiani hanno individuato nel Bambino Gesù colui che ha realizzato tutto questo, il simbolo della speranza, della pace, della salvezza dall’ombra della morte, il “sole che sorge dall’alto”, secondo le parole di Zaccaria (Luca 1,78). Anche chi non crede ha bisogno di sentirsi riscaldare il cuore da un messaggio di speranza come questo. Questo vale per tutti, anche per chi ha una fede diversa da quella cristiana.
I genitori musulmani, poi, non hanno problemi a raccontare la storia di Gesù. Certo, non credono che sia il Figlio di Dio, tuttavia per loro Gesù è un profeta. Similmente a Maometto, che nel Corano è sempre accompagnato dalla frase “Dio lo benedica e gli dia pace”, così Gesù è citato insieme con la benedizione “Su di lui la pace”. Sempre nel Corano, il libro sacro dei musulmani, si legge: “E quando gli angeli dissero: ‘In verità, o Maria, Allah ti ha eletta: ti ha purificata ed eletta tra tutte le donne del mondo […]’. Quando gli angeli dissero: ‘O Maria, Allah ti annuncia la lieta novella di una Parola da Lui proveniente: il suo nome è il Messia, Gesù figlio di Maria, eminente in questo mondo e nell’Altro, uno dei più vicini. Dalla culla parlerà alle genti e nella sua età adulta sarà tra gli uomini devoti’”.
I genitori cristiani, infine, dovrebbero far capire ai loro figli che più dei regali, delle luci, dei Babbi Natale pubblicitari, ciò che conta è quel Bambino. Piccolo, povero, uno di noi, è allo stesso tempo il Figlio di Dio che ci salva e ci indica nell’amore, nella bontà, nella semplicità la via della salvezza, della gioia. Che non si possono limitare al giorno di Natale, ma devono illuminare la nostra vita di ogni giorno.
don Antonio Rizzolo
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