Categorie: Testimonium

Natale per tutti!

La Natività del Signore.

Propongo alla vostra cortese attenzione,  l’omelia di Natale pronunciata da Mons. Corrado Cortella il 25 dicembre 1967 nella Cattedrale di Lugano. Le parole controcorrente del sermone, aiutano a contemplare il Natale da una prospettiva diversa. La nascita di Gesù, non è soltanto un evento che ci fa diventare più buoni. Il Signore con la sua venuta ci invita convertirci, a cambiare modo e stile di vita. Pertanto, come la Chiesa primitiva, invochiamo la sua venuta con il grido: “Maranathà, vieni Signore Gesù”:

Vorrei poter distruggere tutto il sentimentalismo, non dico il sentimento umile e giocondo che accompagna la grande speranza del Natale, la grande rivelazione del Natale: “Dio ha tanto amato il mondo che ha regalato il suo Figliuolo non per giudicare, ma per salvare il mondo”. Vorrei, dicevo, poter distruggere tutto il sentimentalismo religioso, che è spuntato come erbaccia rigogliosa e malefica attorno al mistero del Natale. Vorrei poter distruggere tutta quella falsa bontà che, per Natale, s’esprime in auguri e regali senz’anima. Bisogna far auguri e regali: un massacrante dovere che si fa col cuore annoiato e stanco, quando auguri e regali non si fanno perché conviene farli (c’è qualcuno da tenere buono, qualcuno da cui si aspetta, in cambio, un piacere o un più largo dono…). Quanti sono gli auguri e i regali che escono dal cuore caldo d’affetti e arrivano a riscaldare un cuore? Ci sono per fortuna, ma certo non sono i più… Vorrei poter distruggere la festa delle tavole troppo ricche e delle cento costose vanità, di cui tante case si riempiono: abbondanza che, spesso, soffoca ogni fame spirituale e che è schiaffo sulla faccia di chi soffre povero e solo. Distruggere vorrei tutto quello che profana il Natale, che mortifica l’essenza del Natale, tutto quello che distrae dall’autentica gioia del Natale, dal messaggio cristiano del Natale.

Non posso distruggere: ma in due parole posso ricordarvi che Natale è tutt’altra cosa: e come lo dobbiamo, da cristiani, celebrare. Natale ci dice che abbiamo bisogno di Dio e che Dio risponde al nostro bisogno. Risponde al nostro bisogno col venire a vivere con noi – a vivere come noi i nostri giorni e le nostre notti, le nostre ore liete e le nostre ore tristi, i nostri affetti e le nostre fatiche. Per insegnarci come, per vivere bene, s’ha da vivere. A parlarci per dirci che cosa dobbiamo sapere di Dio e del suo amore e della sua volontà, che cosa dobbiamo sapere di noi, della nostra vocazione, del nostro dovere, del nostro destino. [Dio] risponde al nostro bisogno col venire a morire e risorgere per noi per insegnarci che tremenda cosa è il peccato, per insegnarci a non disperare nella colpa e nel dolore, per insegnarci a guardare senza paura in faccia alla morte. E Gesù viene per restare con noi “fino alla fine del tempo”, nella Chiesa, nei sacramenti: nell’Eucaristia, soprattutto, che è Gesù, Dio incarnato, vivo sempre in mezzo a noi per offrirsi, senza pausa, per noi al Padre e per offrirsi, in ogni ora e luogo, a noi.

Sino all’ultimo è Gesù, che bisogna andare a leggere, a studiare, a meditare, a imparare nel vangelo. Se non sentiamo il bisogno di Dio, se non ci sentiamo i poveri di Dio, non c’è Natale per noi. E c’è bisogno di Dio non per tirarci fuori dai nostri fastidi – può fare anche questo, è vero, l’amore di Dio – ma per tirarci fuori dai nostri mali morali, perché da soli non siamo capaci di niente di buono, e per poter camminare su strade degne della nostra grandezza di figli di Dio, quali Dio ci ha voluti. C’è bisogno di Dio per imparare da lui come si vive liberi e puri, come si giudicano cose e avvenimenti, come si amano gli uomini. C’è bisogno di Dio per non annegare nelle faticose opere del tempo e nelle spesso velenose illusioni del tempo e nelle troppo brevi speranze del tempo, ma per saper tenere gli occhi e il cuore fissi dove sono le sicure cose e le intramontabili gioie che Dio ci ha preparato e che dobbiamo, giorno per giorno, conquistare con la fedeltà alla vita come Dio vuole che la viviamo e con l’amore agli uomini come Dio vuole che li amiamo. La poesia di Betlemme: sta bene, quando la si legge come la poesia che il Figlio di Dio scrive con le parole del suo amore, della sua umiltà e della sua povertà. Betlemme è già, in un certo modo, il Calvario: offerta e sacrificio. Non possiamo stare – tranquilli e contenti – accanto al Bambino di Betlemme se non ci sentiamo di stare – forti e generosi – accanto al crocifisso del Calvario. Non per la nostra tristezza, ma per la nostra autentica gioia e per collaborare con l’amore di Dio, per operare con Gesù per la salvezza nostra e per la salvezza del mondo. (a cura di DonSa).

Il bue e l’asinello, riscaldano il bambino Gesù.

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