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Nel Chiapas arriva Papa Francesco. E si accende la speranza

Oggi, lunedì 15 febbraio, Papa Francesco si trasferisce nel Chiapas, lo Stato più meridionale e più povero del Messico. A San Cristóbal de Las Casas celebrerà la Messa con le comunità indigene, discendenti in gran parte dagli antichi Maya. Una terra che lotta per la sopravvivenza, sempre più interessata dal fenomeno dell’emigrazione. Il padre scalabriniano Florenzo Rigoni assiste da 20 anni i migranti che cercano di raggiungere gli Stati Uniti. Alessandro Guarasci per Radio Vaticana lo ha intervistato:

R. – Il Messico è stato il cimitero senza croci del migrante. Per interessi che si sono sovrapposti ha costruito una vera e propria frontiera che io ho chiamato già da anni “frontiera verticale”. La frontiera che ti divide, lungo il cammino si è trasformata in un’altra frontiera: più che per il governo messicano che fa i suoi controlli, a causa della criminalità organizzata. Così, il migrante, come dice il Papa, è diventato uno scarto, un invisibile, un nessuno.

D. – Padre Rigoni, quanto è frequente il fenomeno del contrabbando con i migranti e per i migranti?

R. – All’inizio era quello che chiamavano i “coyotes” o i contrabbandieri che il migrante contattava. Oggi, ormai, questo grande contrabbando è in mano alla criminalità organizzata che ne ha fatto un altro business: trasportano anche fino a 180 migranti in doppi fondi dei camion, in condizioni disumane. Qui si ripete quella che io chiamo la “Shoah delle migrazioni”: i campi nazi; i treni della morte… Il treno merci che passa dal Sud verso il Nord lo chiamano la “bestia”, la “ghigliottina”.

D. – Quanto è frequente lo sfruttamento lavorativo degli immigrati in Messico?

R. – Questo è un fenomeno che non riguarda solo i migranti. In alcune parti, come il Chiapas, Oaxaca, Guerrero – i tre grandi Stati della povertà – i diritti umani e i diritti del lavoro non sono rispettati. D’altra parte, il migrante sa di non avere carte in mano: le donne, da alcuni anni hanno inventato, una nuova espressione: “Non ho documenti, non ho soldi, ma ho una body card. Invece che la credit card, il mio corpo lo uso come baratto”.

D. – Padre Rigoni, lei sicuramente avrà molti contatti anche con gli indigeni. Cominciano a migliorare le loro condizioni di vita?

R. – Dovrei dirti di no. Sono d’accordo sul fatto che il Papa vada a San Cristóbal e dia importanza alla comunità indigena che io considero migrante da anni, perché l’abbiamo cancellata dalla nostra memoria. Permettiamo loro un po’ di folclore, un po’ di artigianato, ma niente di più. Però c’è qualcuno che lo sente vicino. Quindi, questo sarà un messaggio molto forte, perché la frase che usa spesso il Papa, “gli scarti”, è qualcosa di molto serio.

Redazione Papaboys (Fonte it.radiovaticana.va)

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