Categorie: Pax et Justitia

Nel mondo sono 200 milioni i cristiani perseguitati. Che cosa facciamo per loro?

Martiri. Pubblichiamo, in una nostra traduzione dall’inglese, la prefazione del cardinale arcivescovo di Washington al volume To the Martyrs. A Reflection on the Supreme Christian Witness (Steubenville, Ohio, Emmaus Road, 2015, pagine 135, dollari 22,95). Il libro è introdotto dalle parole di Carl A. Anderson, cavaliere supremo dei Cavalieri di Colombo, organizzazione da tempo impegnata nell’opera di sostegno alle Chiese perseguitate e di sensibilizzazione dell’opinione pubblica sulle drammatiche condizioni dei credenti, in particolare i cristiani, che in numerose regioni del pianeta e quasi nel silenzio generale soffrono per il semplice fatto di testimoniare pubblicamente la propria fede religiosa. Per Anderson questa moltitudine di perseguitati rappresenta «il popolo delle beatitudini» di cui parla Gesù nel Vangelo (Matteo, 5, 3, 12).

(Cardinale Donald W. Wuerl) In molte società attuali, pronunciare la semplice frase «io sono cristiano» è un reato punibile con la morte. Questa persecuzione è talmente diffusa, da essere definita da Papa Francesco una «terza guerra mondiale “a rate”, una sorta di genocidio». Il Santo Padre si è riferito soprattutto ai tanti che oggi stanno morendo per la fede. Ma ci sono molti altri cristiani che vivono nel pericolo costante. Secondo stime affidabili, più di 200 milioni di cristiani in 60 Paesi nel mondo subiscono una qualche forma di limitazione alla loro fede.

La persecuzione, oggi, avviene su larga scala; e quanti la perpetrano provengono da ogni parte del globo. Traggono la loro motivazione da una vasta gamma di ideologie, dal comunismo materialistico all’islam radicale. Accusano i cristiani di reati come la sedizione e la blasfemia. Ci sono persecuzioni in Iraq, Siria, Pakistan, India, Cina, Nigeria, Sudan, Corea del Nord e in molti altri Paesi. Avvengono in piena vista. Talvolta i persecutori postano sfacciatamente sui media sociali riprese dell’esecuzione di cristiani.Tuttavia, la cosa a stento viene commentata nei principali organi d’informazione. Passa quasi inosservata ai diplomatici e ai capi di Stato. Di fatto, è trattata come una responsabilità politica. I martiri cristiani, si è detto, sono troppo religiosi per suscitare l’interesse della sinistra americana e troppo estranei per suscitare l’interesse della destra. E così i martiri vengono abbandonati al loro destino, lasciati a soffrire soli. Riconosciamo la verità contenuta nell’osservazione del poeta W. H. Auden: «anche il tremendo martirio deve avere il suo corso/ in qualche modo in un angolo, in qualche squallido posto».Papa Francesco ha invitato tutti i cristiani a ribellarsi, a fare sentire la propria voce e a esigere la fine del genocidio. La fine del genocidio deve iniziare con la fine del silenzio. Intendo questo libro come un atto di solidarietà con quanti oggi stanno soffrendo per la fede cristiana. La solidarietà è il principio di unità in una società, che si estende oltre il mero interesse proprio. In nessun luogo questo principio è più fondamentale e più reale che nella Chiesa di Gesù Cristo. Poiché condivido la fede dei martiri, siamo membri di un unico corpo. Quando loro soffrono, anch’io soffro. Se la mia mano destra fosse ferita, sofferente o sanguinante, cercherei subito aiuto. Con questo libro cerco attenzione e aiuto per i miei fratelli cristiani che sono nel profondo bisogno.


Il martirio, come vedremo, si è rivelato una costante nella vita della Chiesa. Il concilio Vaticano II ha confermato che lo sarà sempre. «Avendo Gesù, Figlio di Dio, manifestato la sua carità dando per noi la vita, nessuno ha più grande amore di colui che dà la vita per lui e per i fratelli. Già fin dai primi tempi quindi, alcuni cristiani sono stati chiamati, e altri lo saranno sempre, a rendere questa massima testimonianza d’amore davanti agli uomini, e specialmente davanti ai persecutori. Perciò il martirio, col quale il discepolo è reso simile al suo maestro che liberamente accetta la morte per la salute del mondo, e col quale diventa simile a lui nella effusione del sangue, è stimato dalla Chiesa come dono insigne e suprema prova di carità. Ché se a pochi è concesso, tutti però devono essere pronti a confessare Cristo davanti agli uomini e a seguirlo sulla via della croce durante le persecuzioni, che non mancano mai alla Chiesa» (Lumen gentium, 42).
Il martirio sarà anche una costante, e forse è inevitabile. Ma ciò non significa che dobbiamo permettere che avvenga senza conseguenze e passi inosservato. Ogni ingiustizia deve spingerci a pronunciarci con voce più forte e con maggiore efficacia a favore della.

Di recente, nel mio Paese, gli Stati Uniti, abbiamo subìto qualche battuta d’arresto nell’ambito della libertà religiosa, e anche queste vanno affrontate. Godiamo però ancora di una libertà relativamente abbondante di rendere culto come vogliamo. È una grande benedizione poter celebrare l’Eucaristia, venerare la Trinità, proclamare il Cristo veramente Risorto e poi lasciare le nostre chiese nella pace e nella sicurezza. E intanto molti — e con molti intendo molte migliaia — di nostri correligionari non possono partecipare alla messa senza temere che una delle automobili parcheggiate nei pressi possa esplodere. Molti non possono riunirsi la domenica senza domandarsi se sarà quello il giorno in cui i miliziani circonderanno la chiesa e la incendieranno. Sapendo ciò che sappiamo, non possiamo stare tranquilli. Dobbiamo impegnarci a vivere in solidarietà con quei cristiani che attualmente soffrono. Stanno donando la loro vita per noi. Il loro sangue è il seme della Chiesa dei nostri figli. Noi che cosa facciamo per loro? Possano la stesura di questo libro e la vostra lettura essere un inizio.


Redazione Papaboys (Fonte L’Osservatore Romano, 9 gennaio 2016)

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