Papa Francesco ha ricevuto i vescovi del Salvador in occasione della visita ad Limina. A guidarli, mons. José Luis Escobar Alas, arcivescovo di San Salvador e presidente della Conferenza episcopale. L’intervista di Alina Tufani per radiovaticana:
R. – Siamo contenti di questa visita ad Limina, anche perché la Provvidenza ha voluto che coincidesse con la memoria liturgica del Beato Romero, il 24 marzo. Ci piacerebbe molto concelebrare con lui una Messa in sua memoria.
D. – Come procede al causa di canonizzazione di Romero?
R. – Il 28 febbraio scorso abbiamo concluso l’istruzione del processo per il miracolo. Certo, noi vorremmo che il Papa canonizzasse Romero qui in Salvador e lo abbiamo invitato a venire il 15 agosto, giorno del centenario della sua nascita. Magari, se lo vuole la Divina Provvidenza, il miracolo verrà approvato dalla Santa Sede e il Papa lo canonizzerà il 15 agosto. Sarebbe per noi una benedizione molto grande. Noi vorremmo che fosse anche beatificato padre Rutilio Grande, il sacerdote gesuita morto martire come Romero nel 1977. La fase diocesana della sua causa di beatificazione è finita l’anno scorso e la documentazione è già arrivata alla Congregazione per le Cause dei Santi.
D. – Si dice spesso che la piaga della violenza in Salvador sia il prodotto del passato conflitto armato, o anche del fenomeno delle pandillas, le bande che ormai sono diventate gruppi di criminalità organizzata. Da dove viene questa violenza che minaccia ogni giorno la vita di tanti salvadoregni?
R. – Abbiamo scritto una lettera pastorale dedicata proprio al tema della violenza. Nel documento abbiamo espresso il nostro punto di vista con un’analisi storica che evidenzia come purtroppo questo Paese abbia sofferto la violenza dai tempi della Conquista fino al conflitto armato della fine del secolo scorso, finito con un accordo di pace che non è stato pienamente rispettato. Non c’è stata una vera giustizia, se non una legge di amnistia inappropriata, illegittima, che ha insabbiato tutto, anche i crimini contro l’umanità. Parallelamente è sorto questo fenomeno delle bande. Qual è la causa di questo fenomeno? Nella lettera sosteniamo che è sempre un problema di emarginazione, di esclusione sociale, di idolatria del denaro. È l’emarginazione la causa di questa problematica. A questo bisogna aggiungere il crimine organizzato e il narcotraffico. Così adesso viviamo una situazione molto difficile, perché non si tratta di una lotta per degli ideali: queste persone non hanno un obiettivo per il quale lottare. Piuttosto vanno alla ricerca del potere e allora non ci sono neanche i principi.
D. – Come affrontate questo problema anche da un punto di vista pastorale?
R. – Pensiamo che la soluzione sia creare un ambiente favorevole. La violenza non è una casualità: esiste una causalità e la vera causa è la povertà. Le zone più povere del Paese sono le più violente. C’è un peccato, un crimine in tutta la società: le frange più violente sono quelle che la società ha abbandonato. Per questo è importante che il Governo e la società intera focalizzino l’attenzione su questa realtà e creino veramente opportunità di studio per i giovani e di lavoro per gli adulti.
D. – C’è poi il fenomeno migratorio, dove tanti genitori, cercando il benessere per le loro famiglie, le lasciano divise, con i bambini abbandonati a se stessi, creando anche un vuoto fisico e morale…
R. – Esattamente. Purtroppo il problema di fondo resta sempre quello economico: la povertà, o meglio la miseria, l’impossibilità di andare avanti. Quando emigra una parte della famiglia, si rompe l’unità familiare e ne derivano conseguenze terribili. Adesso a questo si somma la problematica negli Stati Uniti: come sappiamo, con il nuovo Governo e il nuovo Presidente americano si è creato un clima di inquietudine e di timore per le deportazioni. I nostri Paesi non sono nelle condizioni di reggere a un rimpatrio massiccio di nostri concittadini. Sarebbe un disastro per loro e per quelli che li accolgono. Sicuramente, come Chiesa abbiamo le braccia aperte e lavoreremo instancabilmente per i nostri fratelli.
D. – Lei ha lanciato una battaglia contro lo sfruttamento indiscriminato delle risorse minerarie, che ha rovinato terre, distrutto l’ambiente, sradicato comunità, soprattutto quelle indigene. Come porta avanti la Chiesa questa battaglia?
R. – Di fatto la Chiesa è impegnata da più di dieci anni su questo fronte, ma abbiamo ottenuto poco. Noi alziamo la voce, ma qui le leggi sono deboli, non proteggono l’ambiente e ancora meno quando si tratta di miniere. Per questo insieme a un gruppo di esperti cattolici abbiamo presentato alla Commissione ambiente e cambiamenti climatici del Parlamento una proposta di legge per vietare l’attività mineraria. I deputati hanno dato una risposta positiva.
D. – Quali sono le sfide pastorali della Chiesa in Salvador in questo momento?
R. – Per noi sono principalmente la difesa della vita, intesa in senso ampio come giustizia, verità e pace in una società segnata dalla violenza. Siamo impegnati per il recupero dei valori della famiglia, di una famiglia solida e responsabile che può salvare tutta la società. Questo è lo sforzo che stiamo facendo.
D. – In tanti Paesi ci sono campagne a favore della depenalizzazione dell’aborto e della promozione dell’ideologia gender. Com’è la situazione nel Salvador?
R. – A partire dai primi anni 2000 come Chiesa abbiamo promosso una campagna di raccolta firme in tutto il Paese per chiedere la modifica del primo articolo della Costituzione in modo che una persona si consideri giuridicamente tale con tutti i suoi diritti fin dal concepimento. Tale modifica costituzionale pone un limite legalmente sicuro per cui non si può facilmente introdurre una legge a favore dell’aborto: si dovrebbe per forza cambiare la Costituzione. Un’altra considerazione è che più del 90 % dei salvadoregni sono cristiani e praticanti. E allora è vero che alcuni partiti politici alzano la bandiera dell’aborto, ma penso più per impegni presi con organismi internazionali. Ma non hanno alcun impatto. Quanto al gender è diverso: lì sì, c’è più apertura da parte della società ed è possibile che vadano un po’ più avanti .
D. – Cosa ci dice della situazione delle vocazioni, del diaconato e dei catechisti?
R. – Uno dei frutti del sangue dei martiri è stata la crescita delle vocazioni, soprattutto dopo gli anni del conflitto armato. A differenza di altri Paesi che non hanno molte vocazioni, noi abbiamo tante vocazioni. È un fenomeno interessante. È in crescita la fede e la partecipazione dei fedeli. Dobbiamo riconoscere però che esiste un numero significativo di cattolici che sono entrati in sette, che sono effettivamente in crescita. Stiamo in questa situazione e sarebbe ingiusto non dirlo, ma siamo ottimisti.
Fonte: it.radiovaticana.va
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