Amedeo Lomonaco – Città del Vaticano
Uno dei grandi pericoli nel cammino interiore è lo sguardo autocentrato, “nel quale l’io è principio e fine di tutte le cose”. Lo ha detto don José Tolentino Mendonça, vicerettore dell’Università Cattolica di Lisbona, incentrando l’ottava meditazione degli esercizi spirituali per il Papa e i collaboratori della Curia Romana, in corso ad Ariccia, sulla parabola del figliol prodigo.
In questa parabola – ha affermato – “vediamo portata in scena una famiglia umana come quella da cui proviene ciascuno di noi”. E’ uno specchio in cui c’è tutto. E’ “una storia che ci afferra dentro” in cui vediamo problematizzata – ha spiegato il predicatore – la relazione tra fratelli”. E ci rendiamo conto “del delicato significato del vincolo filiale”, della trama “sottile e fragile di affetti che intessiamo gli uni con gli altri”.
La parabola – ha spiegato don José Tolentino Mendonça – ci mette in discussione:
“Dentro di noi, in verità, non ci sono solamente cose belle, armoniose, risolte. Dentro di noi ci sono sentimenti soffocati, tante cose da chiarire, patologie, fili da connettere. Ci sono zone di sofferenza, ambiti da riconciliare, memorie e cesure da lasciare a Dio perché le guarisca”.
E il nostro tempo è dominato da “un desiderio alla deriva” che promuove “in noi, figlioli prodighi”, il facile arbitrio, il capriccio, l’edonismo. E tutto questo si sviluppa in “un vortice ingannevole” dettato dalla “società dei consumi” che promette di soddisfare tutto e tutti identificando “la felicità con la sazietà”. Siamo così “satolli, pieni, soddisfatti, addomesticati”. Ma questa sazietà che si ottiene con i consumi – ha detto padre José Tolentino Mendonça – è “la prigione del desiderio”.
Al bisogno di libertà del figlio più giovane, sospinto da “passi falsi” e da “fantasie di onnipotenza”, si aggiungono in parallelo le “aspettative malate” del figlio maggiore:
“Le stesse che con grande facilità si infiltrano in noi: la difficoltà di vivere la fraternità, la pretesa di condizionare le decisioni del padre, il rifiuto di gioire del bene dell’altro. Tutto ciò crea in lui un risentimento latente e l’incapacità di cogliere la logica della misericordia”.
E ai passi falsi del figlio minore, animato in gioventù da un desiderio alla deriva, si sovrappone poi un altro pericolo che logora il figlio maggiore. E’ l’invidia. Anche questa – ha detto il predicatore – è una patologia del desiderio. E’ una mancanza d’amore, una “rivendicazione sterile e infelice”. Il figlio maggiore, che non è riuscito a risolvere la relazione con il fratello, è ancora lacerato da “aggressività, barriere e violenza”. Il contrario dell’invidia, invece, è la gratitudine che “costruisce e riscostruisce il mondo”.
Accanto a queste figure di figli che, a loro modo, ci rispecchiano, emerge quella del padre:
“E l’icona della misericordia è questo padre. Ha due figli e capisce che deve rapportarsi a loro in maniere differenti, riservare a ciascuno uno sguardo unico”.
La misericordia – ha detto infine don José Tolentino Mendonça – “non è dare all’altro quello che si merita”. La misericordia è compassione, bontà, perdono. E’ “dare di più, dare al di là, andare oltre”. E’ un “eccesso di amore” che cura le ferite. La misericordia è uno degli attributi di Dio. Credere in Dio è, dunque, credere nella misericordia. La misericordia – ha concluso il predicatore – è un Vangelo da scoprire.
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