RIFLESSIONE SUL VANGELO DI QUESTO GIOVEDI’ – Se la pagina del vangelo di oggi si fosse limitata a descriverci soltanto la situazione iniziale dell’uomo ricco, che vestiva di porpora e di bisso e che ogni giorno banchettava lautamente, ignaro del povero mendicante Lazzaro, coperto di piaghe, fuori della sua porta, bramoso di sfamarsi delle briciole che cadevano dalla sua mensa e poi fossimo stati invitati a scegliere noi la sorte dell’uno o dell’altro, sicuramente avremmo preferito la ricchezza e il benessere alla miseria estrema del povero mendicante. Il Signore però ci trasferisce in una dimensione ultraterrena, dove i criteri di giudizio non sono più quelli umani, ma scanditi da Dio stesso. Qui i ruoli si invertono: il povero Lazzaro è stato ritenuto degno di un premio eterno con Abramo e tutti i giusti. Il ricco, sazio dei suoi beni e delle sue ricchezze, di cui ha goduto egoisticamente nella vita terrena, si è privato colpevolmente di quelle, promesse da Dio in cielo per l’eternità. Fra i due c’è ormai un abisso e le grida e le richieste del dannato non possono essere accolte da Abramo perché egli per primo, quando era in vita, non ha voluto ascoltare i gemiti del povero Lazzaro. La mancanza di amore genera distanze incolmabili. Il ricco, pur tra i tormenti, conserva un briciolo di pietà verso i cinque fratelli che, ancora nel mondo, stanno vivendo dissolutamente come lui è vissuto. Sostiene che «se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno». Quando la fede è spenta, l’amore è affogato nell’egoismo e tutte le speranze sono riposte nei beni di questo mondo «non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti». La conversione a Dio e al suo volere non è mai frutto di paura, sgorga dalla grazia, è dono dello Spirito. Anche gli apostoli avevano sentito parlare dallo stesso Cristo di risurrezione, eppure non capivano e non smettevano le loro errate convinzioni. Fin quando il nostro spirito rimane invasato dalla cupidigia, dominato dai falsi idoli, chiuso nella morsa dell’egoismo, l’amore vero e santificante dell’unico Dio non trova spazio. Si rimane legati al tempo e alle cose e la stessa risurrezione non ci convince.
Monaci Benedettini Silvestrini