C’erano pensionati, turisti, studenti, mamme e figlie stipate in quel terzo vagone che fendeva l’aria nelle viscere di San Pietroburgo. Perfetti sconosciuti che alle 14.40 di lunedì sono finiti per condividere lo stesso destino nel metrò della città più occidentale della Russia. Erano tutti lì quando l’ordigno rudimentale contenente 200 grammi di tritolo e chiodi è esploso tra le stazioni Sennaija Ploshchad e Tekhnologicheskij Institut, la linea blu che attraversa i principali luoghi turistici della città.
Irina Medyantseva, 50enne che aveva trasformato la passione per le bambole in un lavoro, e la figlia Yelena, 29 anni, erano dirette a Veliky Novgorod. Erano riuscite a prendere quel treno a Sennaija all’ultimo secondo, correndo sulla banchina per non dover aspettare il convoglio successivo. Stavano parlando quando improvvisamente sono state travolte dalla deflagrazione. Irina, con il suo corpo, ha fatto scudo alla figlia, riuscendo a salvarla. Per Irina, invece, non c’è stato nulla da fare: è una delle 14 vittime dell’attentato. «Ho perso la mia amata moglie – ha detto Alexander Medyantsev, suo marito – Erano saltate al volo su quella carrozza. Un minuto dopo c’è stata l’esplosione. Irina è morta sotto gli occhi di Yelena». La ragazza è stata sottoposta a un intervento chirurgico nella notte e adesso è ricoverata in terapia intensiva. «Grazie a Dio, i medici sono fiduciosi che si riprenderà presto – ha continuato Alexander – Ma mia moglie non tornerà mai più, nessuno potrà restituirmela».
Sullo stesso vagone Dilbara Alieva, 20enne dell’Azerbaijan, ha trovato la morte: è stata estratta viva dalle lamiere, ma è deceduta poche ore dopo in ospedale. A poca distanza da lei, Maxim Aryshev, 22enne del Kazakistan, veniva decapitato nell’esplosione. Un bagno di sangue durante il quale hanno perso la vita anche Yury Nalimov, 71 anni, e la 18enne Kseniya Milyukova.
Alexandra Zyablitskaya, 15enne di Barnaul, in Siberia, e Nadezhda Sosedova, 53 anni, sono scampate alla morte per una questione di pochi centimetri. Alexandra era in vacanza a San Pietroburgo con la nonna. È salva, ma sotto choc. Nadezhda, psicologa, era seduta a poca distanza da lei: «È successo così all’improvviso. Stavo sonnecchiando quando qualcosa mi ha colpito alla testa. Poi ho visto le fiamme e i miei capelli che stavano bruciando. Quando siamo arrivati alla stazione Tekhnologicheskij Institut, le porte erano state così deformate dall’esplosione che era impossibile uscire. Alcuni giovani sono fuggiti da una finestra e mi hanno trascinato fuori. Da quel momento ho tentato di aiutare chi mi stava accanto: sono una psicologa e ho parlato con chi era sotto choc. C’erano molte persone ferite, tutti erano spaventati, in particolare quelli che erano più vicini all’epicentro dell’esplosione: erano coperti dal sangue di chi era morto accanto a loro. Posso solo dire di essere stato fortunata».
A pochi chilometri di distanza la morte ha sfiorato anche i passeggeri della linea rossa: un secondo ordigno, cinque volte più potente del primo, è stato scoperto e disinnescato alla stazione di Ploshchad Vosstaniya. L’esplosione principale, secondo gli inquirenti, doveva avvenire lì.
di Federica Macagnone per il Gazzettino
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