Tra i 20 nuovi cardinali che saranno creati da Papa Francesco in San Pietro, durante il Concistoro di sabato mattina, c’è anche mons. Berhaneyesus Demerew Souraphiel, arcivescovo di Addis Abeba. Si tratta del secondo porporato etiopico della storia, dopo il cardinale Paulos Tzadua, scomparso nel 2003. Ascoltiamo il suo commento raccolto da Marina Tomarro per la Radio Vaticana:
R. – Papa Francesco mi ha nominato cardinale, ma io non lo sapevo. E’ stata una sorpresa anche per gli altri. Per me, già lavorare per la mia arcidiocesi è un grande lavoro, una grande sfida. Ma lavorare a livello mondiale è qualcosa di ancora più grande. Allora io ho pregato. Ho chiesto anche ai fedeli di pregare per questa responsabilità pastorale. Per l’Etiopia, anche se è una Chiesa piccola, è una responsabilità grande. Perché la Chiesa ha una buona relazione con le altre Chiese cristiane e anche con i musulmani. Questo vuol dire che la Chiesa cattolica deve continuare ad essere un ponte tra le diverse religioni, le diverse visioni che la gente ha, e anche con i diversi membri della società.
D. – Come vivono i cristiani in Etiopia?
R. – La gente – che nel Paese è in maggioranza cristiana – prende la sua fede sul serio: la fede – dicono – è un dono di Dio. E vivono così. Affrontano le cose vedendo che se Dio vuole, le cose possono cambiare. Non perdono la speranza. Per questo amano la vita, dal concepimento fino alla morte. E questo è importante.
D. – Quanto è importante l’opera della Chiesa nel suo Paese, in Etiopia, ma anche più in generale in Africa?
R. – Pensiamo ai giovani che stanno andando nei Paesi arabi a lavorare come domestici: alcuni vogliono venire in Europa, passano per Lampedusa … Ma lì la Chiesa cattolica, specialmente in Etiopia, dice: noi dobbiamo cambiare la situazione qui. Se noi prepariamo la gioventù nel nostro Paese, si possono offrire opportunità e si può cambiare la situazione. Allora la Chiesa cattolica gestisce tante scuole, ospedali e centri sociali e di sviluppo. Tutto questo si fa a livello dei Paesi dell’Africa orientale. In molti Paesi si fa di più, perché i cattolici sono di più. Noi stiamo pensando di creare un’università cattolica, perché università vuol dire educazione e con l’educazione si possono cambiare le cose. La gioventù può anche creare lavoro: e quando c’è lavoro, i nostri non devono più andare all’estero lasciando la ricchezza dei loro valori e anche le loro radici cristiane. Con l’educazione possono anche valutare quali valori siano buoni e quali disturbano la società.
D. – Le istituzioni, in questo caso, che ruolo dovrebbero avere, per evitare che tanti giovani vadano via dalla vostra terra?
R. – Possono operare in modo da creare lavoro, perché la disoccupazione è una delle grandi sfide in Africa. E credo anche che con l’educazione possiamo ridurre la violenza, che sia guerra civile o la violenza sulla donna o sui bambini, i bambini soldato … e tutto ciò si può cambiare solo attraverso l’educazione.
D. – A ottobre ci sarà il Sinodo straordinario sulla famiglia: quanto è importante questo Sinodo per l’Africa?
R. – Molto, molto importante, per l’Africa, perché in Africa tutti amano la famiglia. Adesso ci sono tante sfide per la famiglia, anche per quella africana, specialmente in alcuni Paesi: gli uomini vanno a lavorare in un altro Paese, le donne restano con i bambini … come si fa? Queste separazioni noi crediamo che rappresentino un grande problema per la famiglia in Africa. Spero che da questo Sinodo, per il quale tanti pregano, usciranno i valori della famiglia. Noi possiamo essere poveri materialmente, ma non spiritualmente, perché abbiamo dei valori e questi valori li dobbiamo tenere ben saldi con tutte e due le mani!
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A cura di Redazione Papaboys fonte: Radio Vaticana