Quando l’imam radicale Mohammed Yusuf fondò Boko Haram nel 2002 a Maiduguri, capitale dello Stato nigeriano settentrionale di Borno, l’organizzazione era diversa da quella sanguinaria che lo scorso 14 aprile ha rapito oltre 300 studentesse a Chibok e ha promesso di «venderle come schiave al mercato per volere di Allah». Gli ideali erano simili ma la lotta armata non era ancora stata sdoganata e anche i membri del gruppo si chiamavano in un altro modo. I terroristi sono nati con il nome di Jama’atu Ahlis Sunna Lidda’awati Wal-Jihad, “Uomini dedicati alla diffusione degli insegnamenti del profeta e del jihad”, ma gli abitanti di Maiduguri cominciarono presto a chiamarli Boko Haram. La parola “Boko”, letteralmente “falso”, era infatti diventata sinonimo di “educazione occidentale” mentre haram indica ciò che è “proibito” dalla religione. Da qui la traduzione odierna del nome: “L’educazione occidentale è peccato”. Yusuf è sempre stato influenzato dal fondamentalista musulmano Maitatsine, che rifiutava l’educazione imposta alla popolazione dai britannici a partire dal 1903, quando conquistarono e posero fine al califfato islamico di Sokoto, che occupava l’attuale nord del paese. Con questa impostazione in mente, Yusuf fondò a Maiduguri un complesso religioso, chiamato Markaz, che comprendeva una moschea e una scuola islamica. Ottenne da subito un grande successo tra la gente, accogliendo i figli di quelle famiglie musulmane povere a cui lo Stato di Borno non era in grado di offrire un’educazione.
L’imam radicale ha sempre avuto come obiettivo quello di tornare al califfato di Sokoto e imporre come legge la sharia, ma prima del 2009 non aveva mai tentato di prendere il potere con la forza. La sua attività, che riusciva ad attirare sempre più giovani, era soprattutto di denuncia: protestava contro la corruzione dello Stato, che riteneva illegittimo in quanto non islamico, e chiedeva a gran voce ai musulmani di non partecipare alla vita politica. Non aveva del resto tutti i torti: nonostante la Nigeria fosse il paese più popoloso, ricco ed economicamente potente dell’Africa, il 70 per cento della popolazione viveva e vive con meno di un dollaro al mese. Ma gli scontri tra cristiani e musulmani che si verificavano continuamente in quegli anni, causando la morte di centinaia di persone da una parte e dall’altra, uniti ai metodi brutali della polizia, che reprimeva ogni protesta in modo violento, contribuirono all’estrema radicalizzazione del gruppo. A spingere i “Yusuffiya” verso la lotta armata come mezzo per perseguire il califfato islamico fu anche la decisione dello Stato di Borno di non adottare la sharia come legislazione, al contrario di quanto molti Stati del nord fecero tra il 2000 e il 2008.
La svolta terroristica. La scintilla che ha sancito il definitivo passaggio di Boko Haram da gruppo di protesta, già in parte violento, a banda di terroristi scoppiò il 26 luglio 2009, quando i Yusuffiya decisero di non obbedire a una nuova legge che imponeva di portare il casco in moto nella città settentrionale di Bauchi, vicina allo Stato di Borno. Nei tre giorni successivi seguirono scontri violentissimi in tutto il nord del paese, tra Boko Haram e l’esercito, che si conclusero con l’uccisione di circa 700 membri del gruppo e l’assassinio del leader, Mohammed Yusuf, mentre si trovava nelle mani della polizia. L’esercito, dopo aver mostrato in televisione il corpo morto dell’imam il 30 luglio, dichiarò che i Boko Haram erano ormai stati debellati. Ma le cose andarono diversamente. La violenza dell’esercito non fece che radicalizzare ancora di più i membri di Boko Haram, che più numerosi di prima si riunirono sotto una nuova leadership: quella attuale di Abubakar Shekau. Nato in un povero villaggio dello Stato di Yobe, nel nord del paese lungo il confine con il Niger, è stato portato fin da piccolo dai genitori a Maiduguri perché imparasse il Corano. «Era il ragazzo più problematico di tutti»
, ricorda il figlio del suo maestro al New York Times. «Non faceva che discutere animatamente con mio padre». Dopo 11 anni di studi Shekau, che oggi predica nei suoi video la necessaria uccisione dei cristiani e degli ebrei, è stato cacciato dalla scuola islamica perché troppo violento. Il figlio dell’imam ricorda anche che Shekau era l’unico ragazzo a non essere mai stato visitato neanche una volta dai genitori, che probabilmente l’avevano abbandonato.Shekau prese a predicare alla gente per le strade che «il governo non sta facendo niente per voi», incitando alla ribellione. Si unì ai Yusuffiya quasi da subito ma fu cacciato perché troppo violento. Intraprese allora in solitaria, con un manipolo di uomini, diversi attacchi a scuole e centri del governo nello Stato di Yobe. Fino al 2005, quando fu riammesso dai Boko Haram. Secondo Bulama Mali Gubio, importante figura pubblica musulmana di Maiduguri per cui Shekau ha lavorato da giovane, «Yusuf era spaventato da Shekau perché era un uomo pericoloso. È lui che ha spinto tutte quelle persone a combattere». Dopo la morte di Yusuf, il gruppo terrorista sparì per quasi un anno. L’esercito e il governo nigeriani cantarono vittoria ma quel periodo servì solo a Shekau per riorganizzarsi e tornare a colpire nel nord a partire dal giugno 2010 più violentemente di prima. Da allora gli attentati degli islamisti, diretti soprattutto contro i cristiani e le scuole statali non islamiche, si ripetono ogni settimana e hanno già causato la morte di almeno 4 mila persone. Nell’ultimo filmato, Shekau ha promesso che non si fermerà: «Tutte le persone del mondo devono sapere che è in atto il jihad contro i cristiani e la cristianità. È una guerra contro l’educazione occidentale e la democrazia». di Leone Grotti
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