«La polizia e l’esercito di Maliki (il premier iracheno, ndr) ci hanno deluso», si sente ripetere a Bartela, a mezz’ora di macchina da Mosul.
Per evitare di essere colti di sorpresa, i 4mila abitanti hanno deciso, dopo l’occupazione di Mosul da parte dei jihadisti di al-Baghdadi, di formare una propria forza di autodifesa, “Hirasa” in arabo. Circa 600 giovani hanno indossato la divisa bianca, ma solo uno su due possiede un kalashnikov. «I nostri uomini non possono fermare da soli i jihadisti, dice il 24enne Saba, ma in caso di necessità interverranno i peshmerga», cioè i miliziani curdi. Questi ultimi hanno già da tempo istituito un check-point all’ingresso della cittadina, mentre i giovani di Hirasa stazionano intorno alla chiesa dedicata alla Vergine Maria e ad altri luoghi di culto, oppure accompagnano il sacerdote e le suore
nelle loro visite alla comunità.
Si materializza così – al costo di tante tragedie e vite umane – l’antico progetto di “ghettizzazione” dei cristiani nella Piana di Ninive, come preludio all’effettiva tripartizione dell’Iraq tra curdi, sunniti e sciiti. Un progetto definito qualche anno fa da un prelato iracheno «un miraggio irrealizzabile ». Si tratta di un vero dilemma per i cristiani, che si trovano ora intrappolati, loro malgrado, tra i vari belligeranti. La gerarchia ecclesiastica irachena ha sempre ritenuto l’idea di una “zona autonoma” per i cristiani «un progetto pericoloso per il futuro della Chiesa irachena».
La missione della Chiesa, si sottolineava, è invece «quella di essere un ponte fra le diverse culture in un Paese fondato su principi civici, non in un Iraq diviso e ripiegato su se stesso». Ancora nel 2010, quando a Mosul si era verificata una prima campagna di terrore e migliaia di cristiani erano stati obbligati all’esodo, si era alzata la voce dei pastori contro la strumentalizzazione politica del dramma. Allora, un esperto caldeo aveva affermato che creare un’enclave nella Piana di Ninive porterà solo a delle complicazioni nel Paese perché, nel migliore dei casi, essa diventerà una zona cuscinetto tra arabi e curdi». Basta oggi sostituire «arabi» con «jihadisti» per capire che la previsione si è purtroppo verificata.
Di Camille Eld per Avvenire
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