“La Chiesa giudica dal punto di vista morale le azioni esterne nella misura in cui diventano di pubblico dominio, mentre Dio giudica il profondo dei cuori. Totò Riina è da considerarsi oggettivamente un peccatore manifesto che non ha mostrato con la necessaria analoga pubblicità dei suoi delitti un vero pentimento”.
Lo ha detto l’arcivescovo di Monreale, mons. Michele Pennisi, in un’intervista rilasciata al quotidiano “La Sicilia”, spiegando le ragioni per cui non sono stati ammessi funerali religiosi per il boss morto venerdì scorso. Oggi la sua salma è stata portata a Corleone, località che ricade nella diocesi di Monreale, dove è stato sepolto. “La Chiesa può dare a lui il trattamento che corrisponde a ciò che risulta pubblicamente – ha spiegato il presule -, dato che non risulta prima della sua morte alcun segno pubblico di pentimento. In base al canone 1184 del Codice di Diritto Canonico non si possono fare funerali pubblici e solenni, che susciterebbero confusione e scandalo nei fedeli”. Un fatto che “non esclude che si possano fare delle preghiere di suffragio e di consolazione per i parenti del defunto”, mentre la sepoltura nel cimitero di Corleone, con una qualche preghiera da parte del cappellano è “un atto di pietà cristiana che va fatto nella misura in cui i parenti lo chiedono e lo dispongano le autorità competenti”. Allargando lo sguardo ai collaboratori di giustizia, mons. Pennisi ha spiegato che “non tutti i cosiddetti ‘pentiti’ sono necessariamente ‘convertiti’ al Vangelo, anche se è possibile che ci siano state delle vere conversioni dopo un cammino di fede”. L’arcivescovo ha ricordato “l’attenzione dei mafiosi per i simboli religiosi, senza porsi alcun problema sull’evidente contrasto fra quei simboli e la loro vita quotidiana”. Per alcuni collaboratori di giustizia “essere religiosi è una cosa fatta per consuetudine ed essere criminali un’altra cosa”. “Il loro interesse per i riti religiosi cresce in alcune circostanze: per esempio quando la chiesa diventa il luogo nel quale celebrare eventi significativi riguardanti gli esponenti del clan – i matrimoni o i battesimi dei figli o dei nipoti -, e giunge all’apice col funerale, che ha una notevole rilevanza sociale. In tal modo i segni più sacri della religione cattolica sono resi strumento di ostentazione di potere”.
Fonte: AgenziaSir
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