Dall’assemblea dei premi Nobel per la pace, riuniti da oggi a Roma in un summit di tre giorni, si leva un appello che coinvolge anche papa Francesco. Tra Gorbaciov e il Dalai Lama, tra Lech Walesa e Shrin Ebadi, se ne fa interprete Mairead Corrigan Maguire che, insieme con Betty Williams, ha ricevuto il prestigioso riconoscimento nel 1976 per l’opera di riconciliazione sociale e religiosa in Irlanda del nord. Profondamente cattolica, Maguire non può esimersi dal riferirsi anche al ruolo della Santa Sede nel contesto internazionale e alla dottrina sottesa a tale operato.
«Vorrei fare un appello speciale a papa Francesco», afferma, chiedendo che «la Chiesa sostituisca la teoria della guerra giusta, con una teologia della pace e della non-violenza», essenzialmente basata sul comandamento del «non uccidere». «Le nostre radici cristiane sono immerse nella non-violenza di Gesù», ricorda Maguire, citando il teologo americano John L. McKenzie quando afferma che «chi legge le Scritture sa che Cristo era totalmente non violento».
Con la teologia cristiana della guerra giusta, argomenta, «si dice agli uomini che hanno il diritto di uccidersi a vicenda» e «si alimentano il mito della violenza giustificata, il militarismo e la guerra». Per questo «oggi il mondo ha bisogno di un chiaro e inequivocabile messaggio da papa Francesco e da tutti i leader spirituali, per ribadire che la violenza non è mai la strada, non è mai giustificata, che la violenza è sempre sbagliata». «Esistono molti e diversi modi di resistenza pacifica all’ingiustizia», nota ancora Maguire, che Francesco stesso ha indicato con il suo appello «per una giustizia senza vendetta».
Alla «geopolitica militarista occidentale, rivelatasi un totale fallimento», sostiene l’appello condiviso dai Nobel, «urge sostituire un percorso alternativo, fatto di dialogo genuino, inclusivo, e incondizionato», che non deve escludere nemmeno «i combattenti dello Stato Islamico, i talebani, e tutti gli altri gruppi che utilizzano la violenza». I Nobel condividono la via tracciata da Francesco quando, sulle possibilità di dialogo con questi gruppi, ha ribadito: «Mai chiudere la porta. È difficile, si potrebbe dire quasi impossibile, ma la porta è sempre aperta».
Per combattere le crescenti forze estremiste in Medio Oriente, si afferma, «la risposta non può essere solo la cosiddetta guerra al terrore, che ha causato morte e sofferenza, alimentando l’islamofobia». Piuttosto «si devono affrontare le cause di fondo, sociali, economiche e politiche che hanno portato alla nascita dell’estremismo violento e riconoscere che questo estremismo, da decenni, è stato strumentalizzato per ambizioni geopolitiche degli stati in Oriente e in Occidente».
I Nobel sostengono un ruolo attivo dell’Onu e ricordano come la risoluzione del conflitto israelo-palestinese sia «la chiave per la pace in Medio Oriente». Una soluzione che deve necessariamente passare attraverso «il pieno rispetto del Diritto internazionale».
A partire da qui i Nobel da Roma ribadiscono «il rifiuto audace e inequivocabile di ogni violenza» e inviano «un rinnovato appello per la pace, la giustizia, l’abolizione universale delle armi nucleari, il militarismo e la guerra», secondo la visione profetica di Alfred Nobel e Bertha Von Suttner (la prima donna a vincere il Nobel per la pace, nel 1905). I due sostenevano convintamente l’uso della diplomazia tradizionale, rispetto a quello della «diplomazia coercitiva», teorizzando l’impiego dei «migliori scienziati e delle risorse economiche più ampie possibili per un reale servizio all’umanità», per combattere «nemici» come le malattie, la povertà, l’emarginazione, il sottosviluppo.
«La pace è uno dei diritti umani, e la sua presenza è necessaria per proteggere e sostenere tutti gli altri diritti sanciti dalla Dichiarazione universale dei diritti umani», spiega il testo dell’appello. C’è ancora «una lunga strada da percorrere per garantire che i nostri governi attuano e sostengono tutti questi diritti», notano i Nobel. Tuttavia, concludono, la speranza c’è e sta nell’avanzare di «una nuova coscienza, nel riconoscere che l’autentico spirito dell’umanità è il prendersi cura gli uni degli altri, amare ed essere amati». Una nuova coscienza che anche papa Francesco contribuisce a nutrire.
Di Paolo Affatato per Vatican Insider (La Stampa)
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