Giovanni Paolo II, nel giorno della Sua festa, viene ricordato da Mons. Oder
LEGGI: La supplica alla Vergine di Giovanni Paolo II davanti alla grotta di Lourdes
(Fonte Vatican News – Orazio Coclite e Alessandro De Carolis)
Il 22 ottobre di 42 anni fa, davanti al tappeto di migliaia di volti che lo fissavano sul sagrato di Piazza San Pietro, Giovanni Paolo II cominciava il pontificato esclamando a un tratto: “Non abbiate paura! Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo!”. Un sprone – in un tempo di muri e di massimi sistemi contrapposti – ad affidarsi a una “salvatrice potestà” più grande.
Oggi che il muro da abbattere è l’infinitamente piccolo di un virus, quell’appello di Karol Wojtyla risuona intatto nella sua pertinenza.
R. – Assolutamente sì. Mi viene in mente una frase che ho trovato nei suoi scritti proprio all’inizio del suo pontificato, quando lui ripercorre tutta la sua storia e conclude: “Debitor factus sum”, “sono diventato debitore”, e questo per me è anche una chiave di lettura di quello che poi è il fenomeno di Giovanni Paolo II: paga con la sua vita il debito di amore, soprattutto nei confronti di Cristo, e per questo le parole “Aprite, spalancate le porte a Cristo” hanno un valore programmatico, allora che rimangono valide ancora oggi. Perché così come la vita di Giovanni Paolo II era un pagare debito nei confronti dell’amore di Dio, così noi oggi accogliendo questo invito possiamo in qualche modo fare la nostra parte nel pagare il debito nei confronti di questo pontefice, nei confronti della storia in cui viviamo. Se oggi, anche in contesto del mondo colpito dalla pandemia, noi ricorriamo a Cristo, possiamo anche aprire i nostri cuori e le nostre menti, le nostre coscienze – aprire i sistemi politici, economici, statali, della cultura, i vasti campi in cui agisce l’uomo – al messaggio cristiano.
R. – Io penso che per tutti rimanga una forte immagine, quella che ci hai lasciato proprio alla fine dei suoi giorni, l’ultimo Venerdì Santo, quella ripresa televisiva della sua partecipazione all’ultima Via Crucis al Colosseo: non più presente fisicamente lì in mezzo a tanti Pellegrini, ma nella sua cappella stringendo la croce. Per lui la croce era una chiave di lettura del dolore umano e una chiave che apriva le porte della speranza.
R. – Non c’è dubbio. Siamo stati testimoni veramente di cambiamenti epocali che sicuramente hanno avuto radici molto lontane. Un elemento è stata l’elezione di Giovanni Paolo II, l’uomo venuto da un Paese lontano, dalla Polonia, oltre la cortina di ferro: all’improvviso con lui ci si è dovuti rendere conto anche dell’esistenza dell’est europeo. Però, pur essendo un protagonista con la sua parola, l’incoraggiamento, era estremamente umile. Quando gli si faceva presente che era stato lui a far crollare il comunismo, lui lo negava chiaramente. Diceva che era stata la Provvidenza divina, servendosi anche di lui. Giovanni Paolo II è stato un uomo che ha accompagnato con la sua preghiera prima di tutto, ma poi con la sua parola, con il suo insegnamento, con la testimonianza del suo coraggio e con i gesti profetici tutti questi processi. Giovanni Paolo II ci ha insegnato a non rassegnarci alla mediocrità, ma di vivere la pienezza della nostra vita in modo tale da fare della nostra vita un vero capolavoro.
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