R. – Nel 2013 lo spreco domestico di cibo ancora buono che finisce nella spazzatura conta in Italia mezzo punto del Prodotto interno lordo: 8,7 miliardi di euro. Se li confrontiamo ai nove milioni di cittadini italiani che vivono sotto la soglia di povertà relativa, ci rendiamo conto dell’assurdità: sarebbero mille euro a testa di cibo ancora buono gettato via.
D. – Questo vuol dire che cambiare abitudini, per quanto riguarda l’utilizzo del cibo, significherebbe un notevole risparmio e anche un atto di solidarietà nei confronti di chi non ha cibo …
R. – Riprendiamo quella che una volta chiamavamo “economia domestica” e se c’è qualche avanzo ricicliamolo! Quanto poi ha sottolineato il Papa (“Il cibo sprecato è cibo rubato ai poveri”; ndr) è straordinario nella sua forza, ma dentro c’è ancora di più: ci sono delle risorse naturali limitate – seppure rinnovabili nel tempo – che finiscono nel bidone della spazzatura. Tra l’altro, questo bidone ha un costo perché dobbiamo pagare una tassa, una tariffa: è un costo economico ed un costo ambientale. Non possiamo davvero più permettercelo! Dobbiamo andare avanti coniugando due premesse importanti che sono la sostenibilità, che significa usare meglio le risorse naturali, e la solidarietà.
D. – Perché le famiglie italiane sprecano cibo? Quali sono le cause?
R. – Non sappiamo fare bene la spesa, non programmiamo i nostri acquisti, neanche i nostri consumi, siamo confusi dalle etichette, dalle scadenze, poi quel “preferibilmente entro” pensiamo sia la scadenza ultima …
D. – Quanto si potrebbe aspettare ancora?
R. – Dipende dal prodotto, ma in realtà te lo garantiscono al massimo delle sue condizioni organolettiche, di qualità, entro quel periodo, ma si può andare oltre. Poi dipende anche dal buonsenso: basta aprire la confezione e verificare; la stessa cosa può essere fatta con il prodotto fresco.
D. – Lei diceva, lo spreco alimentare avviene sostanzialmente in ambito domestico. Non si può tuttavia dimenticare quello spreco a cui assistiamo, tante volte impassibili, da parte delle grandi catene di fast food o delle grandi catene di supermercati che sono “obbligate” a cestinare prodotti integri, in buono stato, per ragioni igieniche …
R. – Lo spreco che riscontriamo nella piccola e grande distribuzione, nella ristorazione, è di 2,3 miliardi circa. Questi obblighi di sicurezza alimentare – non sono uno scherzo, dobbiamo stare attenti – possono essere superati usando delle logistiche e normative che per altro già ci sono: il pasto cotto non consumato si può recuperare; il consumo dovrà avvenire con molti accorgimenti per salvaguardare la salubrità di quel prodotti soprattutto per chi lo consuma, in particolare se andiamo a nutrire gli indigenti. Dobbiamo stare tre volte attenti! Per noi l’importante – lo dico a fronte dell’esperienza alla “Last Minute Market” – è promuovere un recupero sostenibile. È inutile trasportare il cibo in eccesso facendogli fare lunghe percorrenze, magari dovendolo immagazzinare perché poi il costo del recupero diventa più alto del beneficio … Ecco, l’innovazione che noi abbiamo proposto è una sorta di “chilometro zero dello spreco”: consumi l’eccedenza, l’invenduto, la perdita, il surplus laddove si “forma”.
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