L’analisi del presente è implacabile. Sepe parla di una “terribile esplosione” e pensa alle baby-gang e ai giovani stretti in “una terribile morsa”. Il cardinale si preoccupa del “conto amaro dell’infanzia rubata, di un’età dell’esistenza azzerata dalla vigliaccheria di chi non riesce neppure ad attendere i tempi di reclutamento per ingrossare le file del crimine e della malavita organizzata”.
L’arruolamento è “scellerato” e “sembra scontato –dice ancora Sepe – che una delle vie per ‘crescere’, a Napoli e nel circondario, passa attraverso questa orribile trafila”. Non si tratta di un “semplice” problema sociale, ma “del futuro di questa Città, che la proliferazione delle baby-gang può strozzare e uccidere senza appello.”
Parole dure, verità che dal pulpito diventano ancora più terribili, che vanno oltre la cronaca, in una città che diventa “estrema”, terra “di sant” e di “violenza, dove la spirale di odio non sembra mai placarsi e, anzi, finisce per trovare sempre nuovi approdi”.
Ma la Chiesa non si arrende. “Non dobbiamo, non vogliamo cedere alla rassegnazione- dice con nuova forza Sepe – Ce lo chiede anche il Papa, invitandoci a vivere il vero spirito del Giubileo. Il Giubileo é un evento che qui abbiamo intensamente vissuto nel 2011 nel ricordo di quello dell’Anno 2000. Ma il centro di tutto e’ la misericordia, quell’amore profondo che nessuno più di Napoli ha mai sperimentato”.
E la via di uscita da questo presente può diventare la misericordia. Tra le sue innumerevoli contraddizioni, per Napoli “la misericordia é la più plateale. E se non lo è, lo deve diventare: perché dove non sembra placarsi la sete di violenza e di odio non deve, ancora di più, placarsi quella sete di misericordia che non dia requie, che scuota le coscienze e le inquieti fino a diventare inestinguibile”.
E le parole di Sepe diventano attualità, chiamano a racolta le istituzioni, il Comune, la scuola, la famiglia, il mondo del lavoro: “Ma proprio perché dev’essere qualcosa di concreto e reale, la misericordia ha bisogno di entrare nel vivo della realtà di Napoli e di incidervi su molti fronti, primi fra tutti quelli educativi, come il lavoro,la legalità, la famiglia e la scuola. E’ soprattutto nei disagi e nelle difficoltà delle famiglie e nelle criticità della scuola, che si ingigantisce e diventa dramma la frattura sociale di ragazzi che, non riuscendo a vivere il senso della propria vita, arrivano a insidiare quella degli altri, considerata di nessun valore”.
“Le baby- gang, le formazioni giovanili della delinquenza nascono innanzitutto dal disagio precoce che inizia ad aggredire le loro giovani esistenze –Sepe si rivolge alla paizza e allarga le braccia – è come se la vita presentasse ad essi un conto che non sono in grado di pagare.Ma questo conto siamo noi tutti, noi comunità, noi società, noi istituzioni, noi classe dirigente, a doverlo pagare, rendendo loro conto della nostra responsabilità, del nostro dire e soprattutto del nostro non fare”
Il conto lo devono pagare tutti: “E’ alle formazioni giovanili, sì anche a quelle che delinquono, che dobbiamo spiegare qual è il loro futuro, quale domani riserviamo loro, quale tipo di società consegniamo loro.Dobbiamo giustificarci e scusarci con loro se li abbiamo tenuti in parcheggio a leccarsi le ferite del non fare niente, dell’illusione, della speranza tradita, dei diritti negati”.
E così il discorso cominciato con un allarme si chiude con un appello: “Abbiamo il dovere di rimboccarci le maniche perché le cose cambino, perché si sentano ancora figli e protagonisti di una società più giusta, perché si apra anche per loro un orizzonte di impegno produttivo, sano e costruttivo, se non vogliamo che finiscano tra gli arruolati della delinquenza. Non c’è più tempo da perdere!”
All’apertura della Porta santa del Giubileo, il cardinale Sepe si impegna a Napoli nel pomeriggio di sabato 12 dicembre, di manifestare proprio questo impegno: “Quello di spalancare ogni via a una misericordia capace di entrare, come linfa nuova, nelle viscere della città. Non dobbiamo dare per scontato che debba essere la violenza ad avere l’ultima parola. Da Vescovo di questa Chiesa locale, mi rivolgo a tutti i responsabili della vita sociale della nostra città: facciamo sistema, facciamo squadra per salvare i nostri giovani”.
Durante il discorso alla città esposto in piazza uno strizione per la difesa del diritto alla casa “La chiesa non accoglie, ma sgombera”, con slogan e canti.