“Il contesto europeo presenta molti elementi contradditori tra loro” nell’ambito delle relazioni affettive e familiari. “Siamo di fronte a un paradosso: non pochi studi mettono in evidenza una continua diminuzione delle coppie che decidono di sposarsi e, allo stesso tempo, l’aumento di giovani coppie che preferiscono vivere rapporti di convivenza poco stabili”, ma “la maggioranza degli europei ambisce tuttavia a un rapporto duraturo”. Il cardinale Péter Erdő, presidente del Ccee (Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa) e relatore generale al prossimo Sinodo, sta presiedendo alla Domus Pacis di Roma l’Assemblea plenaria dei vescovi europei, dedicata al tema “La famiglia e il futuro dell’Europa”. Nella giornata di oggi i vescovi, provenienti da una quarantina di Paesi, cui si aggiungono rappresentanti delle comunità cristiane di Terra santa, Asia e Africa, si recano in Vaticano per un incontro con Papa Francesco. Intanto Erdő riflette a voce alta sui temi e le attese riposte nel Sinodo straordinario.
Eminenza, in vista dell’Assemblea sinodale si è svolto un dibattito intenso, sollecitato dallo stesso Papa Bergoglio, che ha posto al centro la famiglia, con le difficoltà che questa attraversa, ma anche il valore fondamentale che continua a rappresentare per la società e la Chiesa oggi. Questo dibattito risuonerà durante i lavori del Sinodo?
“Anzitutto rileverei che il dibattito c’è stato ed è tuttora in corso, ampio, articolato, anche se ha avuto intensità e risonanze diverse a secondo dei Paesi, dei ceti sociali… In alcuni casi abbiamo rilevato, anche con il questionario, grande fervore, in altri un maggior disinteresse, legato forse al fatto che in non pochi casi si verifica un distacco generale dai temi religiosi ed ecclesiali. Ripensando al Concilio vaticano II, sappiamo che vi furono momenti di elevatissimo confronto tra pastori e teologi su grandi tematiche; ebbene, noi dobbiamo auspicare per questo Sinodo un alto livello di dibattito e che questo sia fruttuoso”.
Inutile negare che fra i temi sui quali c’è stata maggiore risonanza, soprattutto mediatica, si colloca la questione della comunione alle persone divorziate e risposate. Cosa ne pensa?
“Direi che quello è uno dei temi, con una evidente valenza sociologica, anche se esso non è ugualmente avvertito in tutte le regioni del mondo. Comunque i componenti delle famiglie in difficoltà, le persone separate o divorziate devono essere accolte nelle nostre comunità parrocchiali e così avviene già in tantissimi casi. La pastorale sacramentale pone molteplici domande che occorre accostare tenendo presente la dottrina della Chiesa e una generosa capacità di accoglienza. Su questo punto, in particolare, aspetto con attenzione di sentire le osservazioni dei padri sinodali. Ma questo non è tutto. Aggiungerei un’altra osservazione…”.
Prego.
“Questo è un Sinodo mondiale, e a livello mondiale direi che abbiamo una tendenza diffusa e ben più evidente per quanto attiene la famiglia: riguarda il fatto che la gente non si sposa, che rimanda la decisione del matrimonio o non la considera nemmeno più. È un comportamento che si avverte, pur con tonalità differenti, in ogni continente. Ma se non si considera la vita come un progetto comune, questo diventa un punto debole per la società stessa, per la coesione sociale; si alimentano individualismi e isolamento e non si assumono impegni stabili. Si tratta di un grande tema su cui concentrare la nostra riflessione come comunità ecclesiale”.
A questo si aggiunga che in tantissime regioni del mondo, Europa compresa, la povertà, la disoccupazione, la mancanza di un reddito sufficiente pone le famiglie in condizioni di disagio, di tensione, mentre i giovani senza lavoro e opportunità professionali non possono serenamente costituire una famiglia. Questa urgenza troverà eco al Sinodo?
“Certamente. Dalle Chiese dei diversi continenti ci sono giunte queste rilevanti preoccupazioni. Alle quali si legano vari altri fenomeni, fra cui le migrazioni. Anche all’interno dell’Europa abbiamo forti flussi migratori, che seguono le direttrici sud-nord ed est-ovest; pensi che certi Paesi dell’Europa centro-orientale hanno perso anche il 30% della popolazione giovanile. E allora se noi pensiamo alla famiglia, se ci concentriamo con intenti pastorali su di essa, dobbiamo porre dinanzi alle nostre riflessioni il valore della solidarietà. La comunità cristiana deve aprirsi alle esigenze delle persone e delle famiglie esattamente con tale criterio. Fra l’altro non possiamo dimenticare gli infiniti esempi di comunità che tendono la mano a chi si trova in difficoltà e ho in mente quelle parrocchie in cui sono le stesse giovani coppie a trovarsi tra loro, a sostenersi a vicenda – nella preghiera, nella preparazione alle nozze, nei compiti educativi, nella solidarietà concreta – con l’aiuto della comunità, stabilendo legami intensi che tante volte aiutano anche ad aprirsi alla fede e a incontrare o a ritornare al Signore”.
A cura di Redazione Papaboys fonte: Agensir
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