Ethica et Oeconomia

NON SOLO COVID / Si è veramente positivi, con fede, speranza e carità

Riceviamo e pubblichiamo, dagli amici del Seraphicum

Oggi dire “sono positivo” fa pensare prima che a uno stato d’animo a una positività al Covid. Questo perché la pandemia ha cambiato non solo i nostri ritmi quotidiani ma anche il modo di pensare, mettendoci dinanzi alla solitudine e anche al pensiero della morte. Ma qual è la lezione da trarne? Fra Enzo Galli riflette su questo tema, proponendo ai lettori di San Bonaventura informa importanti spunti di riflessione.

«Oggi il coronavirus è così presente e diffuso che non solo ha cambiato le nostre vite, ma anche il nostro modo di pensare. Nessuno oggi si azzarda più a dire “io sono positivo”, o ancora più semplicemente “io penso positivo”. Non lo dice perché appena pronuncia quella parola, anche se sa benissimo che in quel caso non c’entra niente col Covid, non può che ricordarglielo. Quindi evita di dirlo, quasi per scaramanzia. Poi non solo non si dice più, ma pian piano, stiamo anche smettendo di pensare positivo, e stiamo pure rinunciando ad essere positivi.

Quindi alla fine, almeno in questo caso, le due “positività” (e/o “negatività”), pur restando sempre diverse quanto a significato, sono due mondi che si incontrano (o si scontrano). Com’è possibile?

Coronavirus

È la paura della morte. La minaccia della morte.

Noi pensiamo e siamo positivi, almeno nella maggioranza dei casi e per la maggior parte delle persone, solo quando stiamo bene. Solo quando e finché non entra nel nostro orizzonte la minaccia della morte. La nostra positività è strettamente legata alla nostra salute fisica e mentale. Se stiamo male, abbiamo paura di morire (anche quando non ne siamo pienamente consapevoli o consci), e quindi smettiamo di pensare positivo e di essere positivi.

Proviamo a pensare cos’è successo ad esempio quest’estate, appena usciti dal lockdown. Molti giovani, anche se non solo loro ma specialmente loro, hanno ripreso la vita come se nulla fosse accaduto. Perché? Almeno nella prima ondata della pandemia, era risaputo che si moriva di Covid solo se anziani e/o con altri problemi di salute. I giovani quindi non vedevano nel Covid una minaccia di morte per loro. Non avevano paura di morire a causa del Covid. Per questo hanno ripreso a vivere come se nulla fosse. Hanno espresso la loro positività – sia chiaro, qui positività non equivale a comportamento giusto, buono, ecc., bensì a voglia di vivere, di gioire, ecc. che poi ognuno esprime a modo suo, giusto o meno che sia. Ma quella della morte non è l’unica paura che ci ruba la “positività”. Un’altra molto forte – e questa probabilmente colpisce i più giovani che forse non pensano ancora alla morte – è la paura di rimanere soli, la solitudine.

Se ci pensiamo bene, infatti, molte volte, dietro la parola libertà si nasconde il desiderio o il bisognodi “fare qualcosa” e/o di “stare con qualcuno” per non restare soli con se stessi (o a volte da soli con lapropria famiglia – ma lasciamo per il momento questo caso).

Ora sto generalizzando e forse esagerando. Perché sì è vero, a volte manca anche solo un po’ d’aria fresca, una passeggiata, il calore del sole, ecc. E Dio sa quanto ciò sia prezioso. Ma al di là di questo, forse, sicuramente per diversi (molti?), la principale difficoltà è restare da soli, con se stessi». (E.G.)

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