Le ossa ritrovate sotto il pavimento della casa del custode di Villa Giorgina, dalla fine degli anni Sessanta sede della nunziatura apostolica presso l’Italia, con ogni probabilità non sono di Emanuela Orlandi e di Mirella Gregori, le due ragazze scomparse a Roma nel 1983. Manca l’ufficialità, ma fonti degli inquirenti hanno spiegato che fino ad ora non è stato possibile estrarre il Dna proprio a motivo del deterioramento dei resti.
Come si ricorderà, le ossa sono state ritrovate nel pomeriggio di lunedì 29 ottobre 2018 in un palazzo di proprietà della Santa Sede, all’esterno dello Stato della Città del Vaticano, ma comunque protetto dall’extraterritorialità: la sede della nunziatura, cioè l’ambasciata vaticana in Italia. La notizia era stata diffusa dall’Ansa, che in base alle sue fonti aveva ipotizzato un possibile collegamento con il caso Orlandi, la quindicenne figlia di un messo pontificio scomparsa dal centro di Roma in un pomeriggio di giugno del 1983. La presenza di ossa appartenenti a un secondo scheletro, rinvenute poco distante dal primo, avevano fatto riemergere il nome di un’altra ragazza scomparsa nel maggio dello stesso anno, Mirella Gregori.
Erano state le stesse autorità vaticane – com’è prassi ormai consolidata in questi casi – a richiedere l’intervento della polizia e della magistratura italiana. Accanto alle ossa non erano stati rinvenuti vestiti o effetti personali. Per un paio di giorni era stato tirato in ballo, come pista alternativa, un custode della Villa, che aveva denunciato la scomparsa della moglie. Anche questa un’ipotesi smentita dai fatti.
Sui resti non è ancora stato eseguito dalla Scientifica il test al carbonio 14, che dovrebbe essere determinante per stabilire all’epoca a cui risalgono. Ci vorranno ancora una decina di giorni per arrivare a quel risultato. Ma fonti degli inquirenti hanno fatto sapere di ritenere ormai altamente improbabile che si tratti dei resti di Emanuela e Mirella. È invece molto più probabile che appartengano invece a persone morte alla fine dell’Ottocento o ai primi del Novecento, sepolte in quell’area.
L’edificio venne lasciato in eredità al Vaticano nel 1949 dall’industriale (e senatore del Regno d’Italia) Abramo Giacobbe Isaia Levi ed è intitolato alla figlia scomparsa in tenera età. L’uomo volle donarla a Pio XII per ringraziare di quanto era stato fatto per accogliere gli ebrei perseguitati nei conventi della capitale.
L’area dove sorge la costruzione era una zona di sepolture fino ai primi del Novecento. All’epoca della realizzazione della Villa e delle sue dipendenze, tra le quali la casa del custode, non si procedeva realizzando fondamenta per tutto il perimetro della costruzione: venivano gettate ai quattro angoli. Così, da una prima ricostruzione, sembra sia avvenuto anche per l’abitazione del custode. Questo spiega perché sia stato possibile ritrovare dei resti di sepolture a poca profondità rispetto alla pavimentazione dello scantinato in via di ristrutturazione.
«Durante alcuni lavori di ristrutturazione di un locale annesso alla nunziatura apostolica in Italia», aveva dichiarato in un comunicato della Sala Stampa vaticana la sera di martedì 30 ottobre 2018, «sono stati rinvenuti alcuni frammenti ossei umani. Il Corpo della Gendarmeria è prontamente intervenuto sul posto, informando i superiori della Santa Sede che hanno immediatamente informato le autorità italiane per le opportune indagini e la necessaria collaborazione nella vicenda». Il Procuratore capo di Roma, Giuseppe Pignatone, riferiva ancora la nota, «ha delegato la Polizia scientifica e la Squadra mobile della Questura di Roma al fine di stabilirne l’età, il sesso e la datazione della morte».
di Andrea Tornielli per Vatican Insider
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