I momenti di crisi sono, in genere, i momenti più difficili da affrontare, sia a livello storico che a livello sociale che a livello personale. La storia ha vissuto parecchi momenti di crisi. E molti sono stati catastrofici. Alcuni di questi eventi ci fanno rabbrividire al solo vederne le immagini nei documentari o al sentirne il racconto dai testimoni diretti, e chissà che cosa avrà significato viverli di persona. Credo che non possiamo neppure immaginare la drammaticità di determinati periodi della storia, anche ora che nella società e nel nostro piccolo stiamo vivendo momenti certo non facili. Questa crisi che sembra non finire mai e che miete vittime ogni giorno, sia in modo figurato, cioè economicamente, sia – purtroppo – in modo reale, ci ha aiutato a comprendere che il dramma non è mai lontano da noi; sta appena fuori dalla nostra porta di casa, anzi a volte sta pure nelle nostre case, di noi che mai avremmo pensato di vivere momenti di crisi, di noi che siamo sempre stati bene, di noi a cui non è mai mancato nulla, di noi che non sappiamo cosa sia il male di vivere perché non abbiamo mai avuto “buon tempo”… e invece che ora il tempo l’abbiamo, facciamo talmente difficoltà a gestircelo che andiamo, appunto, in crisi… È quella crisi che parte da fuori, arriva dentro di noi e diviene “male di vivere”, noia esistenziale, rottura e disfacimento di tutto quello che hai dentro, depressione…
Siamo almeno fortunati – ma è proprio così? E fino a quando? – che ancora la violenza della natura non ci colpisce come in altre parti del mondo, “fatti terrificanti e segni grandiosi dal cielo”, come li chiama il Vangelo, perché altrimenti penseremmo davvero che sia giunto l’inizio della fine. Ma la fine non è un momento puntuale della storia o della nostra vicenda umana. La fine è un cammino cui siamo inesorabilmente avviati dalla Creazione a oggi e che si costruisce giorno per giorno, attraverso le vicende tristi e dolorose della storia ma anche attraverso i molti segni di speranza.
Il Vangelo ci narra momenti di crisi e di catastrofi perché era ciò che l’evangelista aveva davanti agli occhi in occasione della distruzione di Gerusalemme nel 70 dopo Cristo: ma questo potremmo applicarlo ad ogni epoca storica marcata da particolari momenti critici anche da un punto di vista sociale. Eppure, allora come oggi, i momenti di crisi non vengono solo per distruggere, o fare del male, o annientare, o accelerare il processo della storia verso la sua fine: vengono quasi certamente anche per crescere. Dio usa i momenti di crisi (storici, sociali, personali) per “dissodare” il terreno dell’umanità e della nostra vicenda personale, per “ararci”, per smuovere la terra in vista di una semina piena di speranza. È naturale, e forse è pure giusto, che i momenti di crisi ci facciano male, ci segnino nel profondo, ma questa è la condizione ineludibile perché possiamo portare frutto. Del resto, la crisi che stiamo vivendo ce l’ha insegnato: privandoci di ciò che prima avevamo – e magari l’avevamo in abbondanza – la vita ci ha costretti ad “ingegnarci”, ad adattarci a fare lavori che non conoscevamo e che rischiavamo di dimenticare, a risparmiare e quindi a diventare più accorti e saggi. Certo, l’abbiamo vissuta come una sconfitta sociale e personale, ma se guardiamo con onestà dentro e fuori di noi ci accorgiamo pure del bene che, in maniera molto particolare, quasi strana, la crisi è stata per molti, se non per tutti.
Forse la comprensione di tutto questo non è affidata all’attualità o a questo determinato momento storico, così come la distruzione di Gerusalemme di cui ci parla il Vangelo non poté essere compresa dai sopravvissuti dell’epoca. “Non è subito la fine”, disse allora il Signore, perché la comunità dei credenti comprendesse che la fine, o meglio il compimento della storia, è affidato a qualcun altro più grande delle nostre vicende storiche o personali. A noi è chiesta la virtù della perseveranza, ci dice il Signore, ossia quella costanza che non è sopportazione ingenua o passiva di ogni tipo di sofferenza, d’insulto o di vessazione, tant’è, verrà il Signore a liberarci (è ciò che Paolo cerca di combattere nell’atteggiamento dei Tessalonicesi); si tratta bensì di una resistenza attiva, viva, forte, che si basa su alcuni punti fermi, alcune “certezze”, che il Signore ci descrive anche nel brano di oggi. Innanzitutto, il momento della prova è “occasione di dare testimonianza”. Nel momento della crisi, quando l’umanità o anche solo le persone che vivono accanto a noi si trovano smarrite e confuse, è l’occasione giusta per dimostrare la virtù della solidarietà, della vicinanza, della compassione, con la quale possiamo dare una testimonianza di fede molto più grande di tanti discorsi o di tanti gesti devozionali. Una crisi come quella che sta vivendo una popolazione colpita da calamità naturale chiama in particolare noi cristiani a dare testimonianza della vicinanza di Dio a coloro che soffrono attraverso la nostra solidarietà.
Il Signore, poi ci assicura che ci darà “parola e sapienza”: è ciò che dicevo quando parlavo di come i momenti di crisi ci stimolino a ingegnarci a trovare delle soluzioni, a uscire da noi stessi, a rimetterci in relazione con gli altri, a dialogare (la parola) e a capire quali opportunità abbiamo (la sapienza). Anche questo, che potrebbe sembrare opportunismo, è senza dubbio frutto della perseveranza che salva.
Infine, “nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto”: non è certo una promessa di intoccabilità o di immortalità da superuomini. Poco prima, infatti, il Signore ci dice che possiamo – come è normale – anche rischiare di subire danni, e che – come avviene – la nostra stessa vita può essere in pericolo, in occasione di un forte momento di crisi. Ma nulla, nemmeno il più piccolo e insignificante minuto della nostra vita, nemmeno l’elemento più piccolo della nostra persona, come un capello del nostro capo, sarà stato inutile, senza significato, vano, e quindi degno di essere perduto o gettato. Di noi e della nostra vita, nulla è sprecato, ancor meno nei momenti di difficoltà. Si tratta di capire a fondo che Dio non ci lascia soli, e che è sempre con noi nel cammino della vita. Come ci dice il Vangelo, alla sua conclusione, perché possiamo sperimentare la salvezza è davvero una questione di attiva perseveranza; questione, in definitiva, di fede.
don Alberto Brignoli