Ventisette anni, dirige il Centro catechistico di Aleppo: al servizio della Parola di Dio in spirito ecumenico, l’incertezza ci obbliga a vivere nel presente, che è il tempo del Vangelo
Un suo fratello, che combatteva nell’esercito regolare, è disperso, anzi sicuramente è morto. Pur nel dolore di una scomparsa che sembra definitiva, «grazie a mio fratello non debbo fare il militare». Un privilegio nella Siria in guerra, da cui centinaia di migliaia di giovani sono fuggiti per non andare a combattere. È per questo che si può incontrare Karim nel Centro catechistico di Aleppo, di cui è direttore nonostante la sua giovane età.
Karim Joseph Aslo è in effetti un 27enne di Dar el Zor, uno dei centri più colpiti dalla guerra e a lungo occupato dai miliziani del Daesh. È giunto qui ad Aleppo nel 2012 con la famiglia, fuggendo dall’avanzata delle truppe di al Baghdadi. È affabile, sveglio, conscio di essere responsabile di un’associazione che ad Aleppo è una vera e propria istituzione, fondata nel 1891, sorta per la volontà di un gruppo di laici che volevano che la formazione cristiana arrivasse a quanta più gente possibile.
Ne fanno parte diverse Chiese legate a Roma: i latini, i maroniti, gli armenocattolici, i siro-cattolici e i caldei. Ogni tre anni il vescovo o patriarca di una di queste Chiese ne diventa il presidente, con rotazione ogni sei anni e una sola possibilità di rielezione. Attualmente oggi è il vescovo armeno-cattolico che presiede l’associazione, che prima della guerra aveva 25 centri, e che ora ne conta solo 12, ma in espansione: «Pensiamo di riaprire quest’anno almeno due centri, e poi via via gli altri». La sede principale, nel centro cristiano di Aleppo, a fianco della chiesa dei frati minori francescani, è un bel palazzo costruito nel 2011 e che è stato colpito nel 2013, ma è stato restaurato a dovere.
Oggi al primo piano si è installata una scuola di studi religiosi, che ben presto vorrebbe diventare una vera e propria università teologica, in collaborazione con l’Université Saint-Joseph di Beirut. Al piano terra, accanto ad un paio di grandi aule per la formazione dei catechisti e per altre riunioni di gruppi e associazioni, vi sono gli uffici e i magazzini, in cui sono ordinatamente stipati gli “strumenti” del catechista perfetto: poster, libretti, fogli plastificati, giochi di società a sfondo evangelico.
Si vede bene che la tradizione è forte, così come la volontà di ritirarsi dopo la guerra: «Sono stato presente in quest’organizzazione, nella mia città, sin da quando ero bambino – mi spiega Karim –, e l’ho apprezzata perché era al servizio di noi ragazzi. A 19 anni, appena arrivato ad Aleppo, ho frequentato una sorta di “master” per diventare catechista, un ciclo di studi, che tuttora viene svolto regolarmente, che prevede sia conferenze più spirituali e teologiche, che lezioni di pedagogia».
Karim spiega la mission dell’associazione che dirige: «Lo scopo è sempre e solo quello di far arrivare la Parola di Dio ai bambini e ai ragazzi, fino ai 18 anni. Lavoriamo in spirito ecumenico anche degli ortodossi collaborano con noi -, al servizio di parrocchie e associazioni, finanziati da varie Chiese e vari sacerdoti, con l’aiuto decisivo delle Opere d’Oriente e altre organizzazioni caritative. Lavoriamo in 8 persone in questo centro, 150 nel complesso dei 12 centri. Prima della guerra erano 3mila i bambini e ragazzi beneficiati dai nostri servizi, ora sono solo 1500, ma bisogna capire che la comunità cristiana di Aleppo si è ridotta del 70 per cento a causa del conflitto».
Attualmente i cristiani rimasti sono circa 50mila, mentre eravamo 150mila prima della guerra. Nessuno degli animatori percepisce uno stipendio. Karim, ad esempio, lavora per la Caritas, e viene in sede tre volte alla settimana, quando si aprono gli uffici.
Naturalmente si arriva a parlare delle attuali condizioni di vita della comunità cristiana di Aleppo. Nessuna lamentazione né recriminazione traspare dalle risposte di Karim. «La speranza non muore mai. Nella nostra organizzazione siamo in crescita, e l’idea di riaprire dei centri chiusi a causa della guerra è motivo di sprone. E poi stiamo vedendo che poco alla volta, lentissimamente a dire il vero, i cristiani tornano ad Aleppo.
Qui si impara sempre qualcosa di nuovo, e so che ogni volta che facciamo qualcosa di nuovo la comunità tutta ne beneficia. Anzi, direi di più, è tutta la città che ne beneficia, anche i musulmani, coi quali i rapporti sono cordiali, come è sempre stato in questa nostra Aleppo, crocevia di commerci e di tradizioni». Siete un simbolo della rinascita di Aleppo? «Difficile rispondere. L’incertezza della guerra, che non è ancora finita – qui a trenta chilometri infuria ancora la battaglia per la regione al confine con la Turchia – ci obbliga a vivere nel presente, che d’altronde è il tempo del Vangelo». Usciamo all’aria aperta, e udiamo le detonazioni dell’artiglieria dell’esercito che spara verso la sacca di Idlib. Questa è oggi Aleppo.
Di Michele Zanzucchi per Avvenire.it
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