“I giornalisti di Charlie Hebdo sono celebrati come dei martiri della libertà di opinione, ma analizziamo meglio la questione: se avessero cercato di pubblicare il loro giornale satirico in qualsiasi università americana nelle ultime due decadi sarebbero durati 30 secondi. Gli studenti e le facoltà li avrebbero accusati di incitamento all’odio”. È questa l’opinione controcorrente pubblicata in un editoriale del New York Times e firmata da David Brooks, opinionista del quotidiano e insegnante alla Yale University, dal titolo “io nono sono Charlie Hebdo”.
Brooks cita una serie di esempi interni ai campus americani per mettere in luce come Charlie Hebdo non sarebbe mai potuto esistere in quel contesto. All’università dell’Illinois, ad esempio, “un professore è stato licenziato per aver insegnato la visione della chiesa cattolica sull’omosessualità”, continua l’editorialista. (Molti commenti nella versione online attaccano Brooks dicendo che l’esempio dei campus ha poco a che fare con la notizia. Le università, sostengono in molti, sono istituzioni private, un giornale pubblico è un’altra questione).
Questo, scrive Brooks, potrebbe diventare un momento per riflettere. “Mentre siamo mortificati per il massacro dei giornalisti e del direttore avvenuto a Parigi, è il momento per avanzare un approccio meno ipocrita nei confronti delle nostre figure più controverse, dei provocatori e degli autori di satira”, dice Brooks. Crescendo impariamo ad aprire le conversazioni ascoltando e non insultando”, continua l’opinionista. Ma non si può risolvere questo problema con le leggi, perché si rischierebbe di censurare, dice Brooks. E allora che fare? “dobbiamo mantenere uno standard di civiltà e di rispetto mentre allo stesso tempo diamo spazio” alla satira.
“Una società in salute, in altre parole, non sospende il diritto di parola, ma concede diverse posizioni a diversi tipi di persona. Persone sagge e professori sono ascoltati con rispetto. Gli autori satirici sono ascoltati con disorientato semirispetto. I razzisti e gli antisemiti sono ascoltati attraverso un filtro di obbrobrio e mancanza di rispetto”, continua Brooks per poi concludere: “il massacro di Charlie Hebdo dovrebbe essere una occasione per porre fine ai codici dei discorsi. E dovrebbe ricordarci di essere legalmente tolleranti con le voci offensive, anche se siamo socialmente discriminati da esse”.
In generale negli Stati Uniti i media hanno avuto un approccio molto cauto sulla vicenda. A differenza di molti altri giornali nel mondo (soprattutto in europa), non hanno pubblicato alcuna vignetta del giornale satirico (o hanno cercato di censurarle pixelandole o tagliando le foto in modo da non mostrarle). Solo un altro editoriale – del Financial times – ha attaccato Charlie Hebdo (definendolo “stupido”), ma subito è stato ritirato dopo che l’opinione pubblica si è scagliata duramente contro la posizione del quotidiano finanziario di Londra. Fonte: HuffingtonPost
Qui il link all’articolo originale:
http://www.huffingtonpost.it/2015/01/09/new-york-times-charlie-he_n_6443716.html
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