Alessandro De Carolis – Città del Vaticano pr Vaticannews.va
Mettersi là dove dilaga un conflitto “perché due sponde distanti e nemiche possano tornare a comunicare”. La preghiera, specialmente la “preghiera di intercessione”, ha questa potenza, di creare contatto sul terreno delle coscienze, fino a un’insospettabile possibilità di dialogo, all’opposto della liturgia dei missili e dei cannoni, che fanno macerie di ogni spiraglio di comprensione.
“Oggi mentre infuria la guerra in Ucraina” il Papa si rifà all’“attualità” di un’omelia del cardinale Martini del ’91 per mettere in risalto una caratteristica di San Giovanni Nepomuceno, morto martire alla fine del 1300, venerato come “protettore di ponti”, e al cui nome da circa 140 anni è intitolato il Pontificio Collegio ricevuto in udienza da Francesco.
San Giovanni Nepomuceno è un sacerdote integro che rifiuta la pretesa del corrotto re Venceslao di violare il segreto della confessione per rivelare quanto gli abbia detto la regina sotto il sigillo sacramentale – regina di cui il re, inguaribile fedifrago, sospetta inesistenti infedeltà – e per questo rifiuto Giovanni paga con la vita, gettato dal Ponte San Carlo di Praga giù nella Moldava. Questa testimonianza, afferma Francesco, “ci ricorda, oggi più che mai, il primato della coscienza su qualunque potere mondano; il primato della persona umana, la sua dignità inalienabile”. Ma c’è, sottolinea il Papa, un modo ancora più stringente per onorare la memoria di un santo martire ucciso in quel modo.
Cercare, nella vita concreta, di gettare ponti là dove ci sono divisioni, distanze, incomprensioni. Anzi, di essere noi stessi dei ponti, strumenti umili e coraggiosi di incontro, di dialogo tra persone e gruppi diversi e contrapposti (…) Ma questo lo fanno anche meglio le donne, eh?, per voi [rivolto alle donne presenti?]: fare dei ponti, perché una donna sa meglio di noi maschi come fare dei ponti, e voi [sempre rivolto alle donne] insegnate loro come si fanno dei ponti.
Francesco mette in guardia per l’ennesima volta dei religiosi dal pericolo della mondanità spirituale – “il peggio – dice – che può accadere a un uomo, a una donna consacrati” – e rilancia sull’esempio del Nepomuceno quei “no ai poteri di questo mondo per confermare il sì al Vangelo”, poteri a volte politici o ideologici o culturali che condizionano in modo sottile. Il vostro collegio, è l’augurio del Papa, sia “casa e scuola di libertà”, specie oggi che con la “diminuzione delle presenze europee”, i sacerdoti africani e asiatici che ne sono ospiti possono costituire, indica, “se ben gestita una ricchezza umana e formativa”.
Il Signore ci vuole a tutti noi servitori, fratelli e sorelle, non primadonna o primo attore, non protagonisti, e alle volte protagonisti di storie tristi e di storie mediocri. No. Il Signore ci vuole lottatori: fuggiamo la tentazione di questo protagonismo mondano.
E capaci di un sorriso liberante, di un umorismo che sdrammatizza e non si prende sul serio. Come, ricorda Francesco, riusciva a suscitare il cardinale card. Tomàš Špidlík, “che io – ricorda – “ho conosciuto tanto bene”.
L’ho conosciuto da vicino – che per tanti anni ha svolto il suo ministero nel vostro Collegio e con quel senso dell’umorismo che era capace di ridere di questo, di quello ma di se stesso, pure. Un grande.
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