Un animo guerrafondaio che ha indignato chi aveva scommesso su di lui, primo presidente nero della storia degli Stati Uniti, fino al punto di veder partire centinaia di petizioni in tutto il mondo per richiedere il ritiro del Premio Nobel per la Pace, così frettolosamente – e forse incautamente – assegnatogli. E di questi errori marchiani, strategici, ne ha approfittato intelligentemente Vladimir Putin, leader carismatico di una Russia che ha ormai ripreso, dopo vent’anni di pericoloso declino, il suo ruolo di super potenza che aveva perso e che aveva permesso agli USA di mettere al petto la stella di latta di sceriffo del mondo.
Putin, oltre ad aver risanato l’economia statale, impedendo l’assalto delle grandi multinazionali dell’energia alle immense risorse naturali russe, ha pacificato la Russia dal punto di vista religioso, restituendo autonomia assoluta alla Chiesa cristiana ortodossa garantendole anche quella economica indispensabile per il suo sostentamento. Ha intrapreso anche una intelligente politica sociale, basata su un mix tra liberismo e welfare, ed ha difeso a denti stretti i valori profondi della cultura russa, non cedendo alle lusinghe del consumismo e del relativismo morale che stanno distruggendo la civiltà occidentale.
Ma pur dimostrandosi conservatore sui principi che noi cattolici chiamiamo “non negoziabili”, Putin è stato abilissimo a tessere una serie di alleanze strategiche “non ideologiche”, quindi “progressiste”, in politica estera: prima fra tutte la corsia privilegiata con la Cina, il nuovo gigante della scena economica mondiale, e quindi con tutta una serie di Paesi dell’area mediorientale, rappresentanti di un islamismo moderno e moderato, senza cadere nella trappola ideologica di flirtare con i nemici degli Stati Uniti come Al Qaeda o Hamas, e mantenendo una posizione di attesa nella cosiddetta “primavera araba”. Ed i fatti gli stanno dando ragione.
Il risultato poi di aver di fatto impedito l’aggressione americana in Siria, ma non minacciando guerre bensì usando sapientemente la fermezza e la diplomazia, con lo spiraglio che oggi si apre avendo ottenuto il rilascio degli arsenali siriani al controllo internazionale, è certamente un risultato spettacolare. Inoltre Putin è riuscito a recuperare in America Latina quelle partnership strategiche perse in Europa con il disfacimento dell’Impero sovietico. Con il risultato che all’Europa ha lasciato acquisire Stati come la Romania, la Bulgaria, le Repubbliche ex jugoslave e l’Albania, e la Russia ha invece acquisito alleanze strategiche con Stati come il Venezuela, il Brasile, l’India. Un bel cambio, non c’è che dire.
Quindi ad un Obama ostaggio delle lobby, ondivago e nervoso, e soprattutto privo di tensione morale, si contrappone sullo scenario mondiale un Putin saldo nei principi e intelligente nelle strategie, come una squadra di calcio rocciosa in difesa e agilissima e veloce in attacco. Non ci meravigliano quindi se questa partita tra i due leader vede un inaspettato e clamoroso punteggio a favore dello “zar”
Giovanni Pecora