Le lobby Lgbt negli Stati Uniti non riposano mai e proseguono indefessamente il loro lavoro per affermare nella società l’ideologia gender a partire dal cambiamento del linguaggio. Capita così che l’Oberlin College (Ohio) abbia deciso di introdurre nuove regole «obbligatorie» nel dipartimento di atletica per essere sicuri che lo staff e gli insegnanti rispettino la «sensibilità transessuale». Le “Linee guida per l’inclusione e il trattamento rispettoso degli atleti-studenti transessuali intercollegiali” sono state scritte da una commissione transessuale, prevedono qualche piccola modifica nell’utilizzo di «nomi e pronomi» e impongono di «non usare “ragazze” o “ragazzi” quando ci si rivolge a un gruppo di persone». Il testo obbliga anche a rimpiazzare i pronomi “he/him/his/she/her/hers” con un generico plurale “they/them/theirs”. Il dipartimento, inoltre, per rivolgersi ai transessuali nei documenti ufficiali non potrà più usare l’ex termine gender-friendly “FTM” (female-to-male), cioè “da-femmina-a-maschio”, o “MTF” (male-to-female), “da-maschio-a-femmina”. Al posto di “studente-atleta FTM” dovrà usare una formula un po’ più lunga e articolata che in inglese consta di ben 25 parole e tradotto in italiano recita più o meno così: “Studente-atleta transessuale che è stato designato femmina alla nascita e sta/non sta sottoponendosi a una terapia ormonale prescritta dal medico in relazione alla sua transizione di genere”. Al posto di “studente-atleta MTF” invece dovrà scrivere: “Studente-atleta che è stato designato maschio alla nascita e sta/non sta sottoponendosi a una terapia ormonale prescritta dal medico in relazione alla sua transizione di genere”. Semplice no? Gli insegnanti dell’Oberlin College stanno già sudando sette camicie per imparare la formula a memoria.
Negli Stati Uniti la rivoluzione linguistica è già cominciata anche nello Stato di Washington e in Colorado, dove è stato inventato un nuovo pronome neutro (Ze), ma non ha risparmiato neanche la Gran Bretagna, dove la docente Jennifer Coates ha lanciato una campagna contro la discriminazione linguistica appoggiata dal suo ateneo. La professoressa emerita di lingua inglese e linguistica all’università di Roehampton, nella periferia di Londra, ha tenuto come volontaria alcune lezioni in una scuola secondaria, l’Accademia femminile di East Dulwich. Introdotta come “professoressa” dal preside, Jennifer Coates si è indignata perché invece le alunne dal primo giorno si sono rivolti a lei usando il titolo “Miss”: «È un esempio deprimente di come alle donne venga conferito uno status inferiore rispetto agli uomini, che vengono chiamati “Sir”, anche se più giovani e con meno titoli accademici». E così la docente, che tiene un corso all’università sul linguaggio di genere, ha deciso di lanciare una campagna per porre fine a queste «visioni sessiste», che gli alunni apprendono fin da giovani, insieme all’idea che «le donne siano esseri inferiori agli uomini». Le soluzioni proposte sono due: o si eliminano i titoli e si chiede agli alunni di chiamare i professori semplicemente per nome oppure si conferisce anche alle professoresse il titolo di “Sir”. Un richiamo (purtroppo inascoltato) al buon senso e alle difficoltà reali della scuola è arrivato da Debbie Coslett, direttrice del Brook Learning Trust, che dirige tre scuole inglesi: «Se io fossi appena arrivata in una scuola dove gli studenti non mi conoscono e cominciassero a chiamarmi “Miss”, mi andrebbe benone. Vorrebbe dire che mi stanno mostrando rispetto, piuttosto che rivolgersi a me con espressioni del tipo “hey” o “ehi, tu”». di Leone Grotti