Beato Enrico da Bolzano, che, boscaiolo e analfabeta, distribuiva tutto ai poveri e, per quanto indebolito nel fisico, mendicava tuttavia saltuarie elemosine che spartiva con gli altri mendicanti.
È nato a Bolzano intorno al 1250; si è sposato, ha messo su casa e gli è nato un figlio. Non si sa bene quando, non si a bene perché, forse al ritorno da un pellegrinaggio a Roma, un bel giorno decide di trasferirsi nel trevigiano insieme alla famiglia e qui si ferma nel podere di un signorotto locale, iniziando (o continuando) a fare il boscaiolo. Per vent’anni, o forse più, certamente fino a che le forze glielo permettono.
A tempo perso è stato anche uomo di fatica, disponibile per traslochi e per ogni lavoro pesante. Né altro avrebbe potuto fare lui, pover’uomo analfabeta, come la stragrande maggioranza dei suoi contemporanei, obbligato a vivere col sudore della fronte.
Mortagli la moglie e poco dopo anche l’unico figlio, decide di traslocare a Treviso. Per la pensione, potremmo pensare, invece da quel momento la vita di Enrico assume un nuovo corso. Un notaio trevigiano lo ospita in una catapecchia e qui Enrico inizia una vita di preghiera e di penitenza.
Veste un saio ruvido, porta sul suo corpo strumenti di penitenza, prega e cerca di aiutare tutti coloro che hanno bisogno di aiuto. Il segreto per alimentare questa vita di preghiera e di carità sta nella Messa quotidiana e nella Comunione. Si fa pellegrino di chiesa in chiesa, visitando ogni giorno tutte le chiese di Treviso e partecipando avidamente a tutte le celebrazioni che in esse si svolgono.
Soprattutto, Enrico, povero in canna, diventa il “banchiere di Dio”, andando a bussare a tutte le porte per elemosinare un aiuto che gli consenta di venire in soccorso ai tanti miserabili che pullulano in città. In questa rete di carità riesce a coinvolgere anche il vescovo e addirittura il signore di Treviso, a testimonianza della stima e del rispetto che lo circondano.
Che di quanto gli viene donato nulla tenga per sé, lo dimostra il fatto che muore in povertà estrema, completamente solo nella sua catapecchia, il 10 giugno 1315.
Il suono misterioso delle campane di tutte le chiese di Treviso annuncia il suo decesso alla città, che si ritrova stretta attorno alla sua bara per un funerale che sembra un trionfo. Perché i prodigi cominciano a fioccare proprio durante le esequie, tanto che in breve tempo si registrano e si documentano ben 346 miracoli attribuiti alla sua intercessione.
La sua fama da Treviso si estende a tutta l’alta Italia e agli stati confinanti, facendo affluire alla sua tomba frotte di pellegrini. Un primo tentativo di farlo santo non ottiene successo, pare, per mancanza dei fondi necessari, ma di Enrico si continua a parlare e a scrivere, addirittura nel Decamerone del Boccaccio, mentre la sua immagine si diffonde ovunque, come testimonia la sua ricca iconografia ancora oggi presente, ad esempio, nella cattedrale di Vienna, nel duomo di Innsbruck, nelle chiese dell’Istria e del Tirolo.
Il culto del beato Enrico da Bolzano è stato approvato da Benedetto XIV nel 1750; è patrono di Bolzano e dei boscaioli. (Autore: Gianpiero Pettiti)
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