Un cristiano adulto e tutto d’un pezzo nonostante la tenera età, martire a causa della sua fede sincera, incapace di compromessi. Il 28 marzo 2013, Jorge Mario Bergoglio, ancora fresco di conclave, ha firmato il decreto: il successivo sabato 5 ottobre
Rolando Rivi, già Servo di Dio, è stato proclamato beato, entrando a far parte del primo gruppo di beatificazioni volute dal nuovo papa.Aveva solo 14 anni quando fu torturato e ucciso da alcuni uomini delle brigate garibaldine “in odium fidei”, il 13 aprile del 1945, a pochi giorni dalla fine della guerra, ma ne dimostrava ancora meno, con quel viso tondo e minuto, lo sguardo intenso reso ancora più vulnerabile dal cappello da seminarista troppo grande, che rischiava anche nella foto di cadergli sugli occhi. Un cappello da “pretino” che Rolando non voleva togliersi da quando, a 11 anni, era entrato in seminario e aveva vestito, come si usava allora, l’abito talare. Per non far torto a Gesù. «Chiediamo a Rolando Rivi di ottenere la grazia di tante vocazioni per la nostra Chiesa», ha dichiarato il vescovo di Reggio Emilia, monsignor Massimo Camisasca.
Rolando Rivi nato a San Valentino, comune di Castellarano, nel reggiano, il 7 gennaio del 1931, secondo di tre figli di due giovani contadini, mamma Albertina e papà Roberto. Gente semplice ma di fede profonda, legata alla parrocchia. Rolando cresce nell’oratorio, impara a suonare l’orano, serve messa. Oggi diremmo che nel gruppo degli amici è un leader. La nonna sostiene che «diventerà un santo o un mascalzone».
Dopo la Cresima matura la vocazione e chiede di entrare in seminario. Ha un sogno. Vuole diventare missionario. I genitori non si oppongono e così entra nel seminario di Marola. Siamo nel ’42. Dopo due anni dopo, nel 1944, i tedeschi occupano la struttura e i seminaristi devono tornare a casa. Anche Rolando quell’estate torna a San Valentino e ritrova la famiglia e i coetanei.
Il clima è cambiato. Il paese è vessato dalle incursioni dei tedeschi e dei partigiani, i sacerdoti sono malvisti e rischiano ogni giorno la pelle. Siamo nel triangolo della morte, i crimini commessi dai “rossi” faranno i conti completi con l’opinione pubblica solo dopo il famoso “chi sa parli” lanciato negli anni ’80 dall’ex partigiano reggiano Otello Montanari. Tra tutti, questo è stato uno dei più efferati e dei più odiosi, se non altro per l’età della vittima. Tornato dal seminario, Rolando riprende la vita di prima. Gli studi, i giochi con gli amici, la parrocchia. Ma non si vuole togliere l’abito, nonostante il suo vecchio parroco sia appena stato trasferito in un luogo più sicuro dopo essere stato aggredito e picchiato da alcuni partigiani comunisti.
Il nuovo parroco è don Alberto Camellini, ha solo 25 anni ed è al suo primo incarico. Sarà uno dei testimoni contro i suoi assassini. Si arriva così al 10 aprile del ‘45. Rolando va a studiare in un bosco vicino a casa, come al solito. La sera non è ancora rientrato. I genitori trovano i suoi libri e un biglietto lasciato dai partigiani, in cui si dice di non cercarlo. Dopo alcuni giorni di inutili ed estenuanti ricerche nei dintorni, il papà e il giovane parroco si mettono in viaggio e, dietro le indicazioni degli stessi assassini, scoprono la terribile verità.
Rolando è stato sequestrato, poi portato in un casale a Piane di Monchio, nell’Appennino modenese. Torturato per tre giorni e infine ucciso, il 13 aprile, alle tre del pomeriggio. La tonaca nera l’hanno usata per farne un pallone da calcio e poi appesa come un trofeo. Prima di morire, ha chiesto di pregare per mamma e papà.
Di lui si conserva la memoria. Dal 22 aprile al 1° maggio 2017, ad esempio, il Battistero della Basilica S. Maria Assunta a Gallarate, in provincia di Varese, ospita la mostra “Io sono di Gesù”, dedicata proprio all beato Rolando Rivi, “testimone di verità”. Vengono illustrate vita, testimonianza di fede e morte del ragazzo: rappresenta un’occasione d’incontro con un testimone, icona dei martiri del XX secolo, modello per affrontare con coraggio evangelico anche le circostanze più difficili.
Redazione Papaboys
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