Le mani dell’arcivescovo di Cordoba, monsignor Ramon José Castellano, sul capo di José Mario Bergoglio segnano l’inizio di una lunga storia di dedizione, servizio e amore per la Chiesa. E’ il 13 dicembre 1969, 4 giorni prima del suo 33.mo compleanno. In quella data si porta a compimento un percorso iniziato a 17 anni quando si accende in lui la scintilla della vocazione. Nella confessione con padre Duarte, mai visto prima nella chiesa di San José de Flores, il futuro Papa Francesco trova una guida capace di fargli scoprire la sua vocazione. “Tornò a casa – si legge nel libro conversazione del Pontefice con Sergio Rubin e Francesca Ambrogetti – con una convinzione ferma: voleva, doveva diventare sacerdote”. Solo a 21 anni l’ingresso nella Compagnia di Gesù.
Chi è il sacerdote per Papa Francesco? La risposta la si ritrova nei tanti discorsi e nelle omelie pronunciate in questi 5 anni di magistero. E’, ad esempio, nell’incontro con i parroci e i sacerdoti della Diocesi di Roma, 6 marzo 2014, che il Santo Padre richiama una parola chiave del suo pontificato: “misericordia”. “Così a immagine del Buon Pastore, il prete – aveva affermato – è uomo di misericordia e di compassione, vicino alla sua gente e servitore di tutti. Il prete è chiamato a imparare questo, ad avere un cuore che si commuove”. Un sacerdote è colui che cura le ferite.
E’ alla Misericordia che Papa Francesco dedica l’Anno Santo straordinario, indetto l’8 dicembre 2015. Alla messa per il Giubileo dei sacerdoti, 3 giugno 2016, il Pontefice sottolinea come il cuore del prete è “un cuore saldo in Gesù”, “un cuore trafitto dall’amore del Signore”. “Per questo egli non guarda più a sé stesso – non dovrebbe guardare a sé stesso – ma è rivolto a Dio e ai fratelli. Non è più ‘un cuore ballerino’, che si lascia attrarre dalla suggestione del momento o che va di qua e di là in cerca di consensi e piccole soddisfazioni. E’ invece un cuore avvinto dallo Spirito Santo, aperto e disponibile ai fratelli”.
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La vicinanza è l’altro tratto messo in luce da Papa Francesco. Nell’omelia della messa del Crisma, 29 marzo 2018, il Pontefice ricorda che “il sacerdote vicino, che cammina in mezzo alla sua gente con vicinanza e tenerezza di buon pastore (e, nella sua pastorale, a volte sta davanti, a volte in mezzo e a volte indietro), la gente non solo lo apprezza molto, va oltre: sente per lui qualcosa di speciale, qualcosa che sente soltanto alla presenza di Gesù. Perciò non è una cosa in più questo riconoscere la nostra vicinanza. In essa ci giochiamo se Gesù sarà reso presente nella vita dell’umanità, oppure se rimarrà sul piano delle idee, chiuso in caratteri a stampatello, incarnato tutt’al più in qualche buona abitudine che poco alla volta diventa routine”.
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Benedetta Capelli – Città del Vaticano
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