Sant’Antonio è uno dei Santi più amati e venerati della cristianità; la Basilica di Padova, dove si trovano le sue spoglie mortali, è meta ogni anno di milioni di pellegrini provenienti da ogni parte del mondo. Fu canonizzato l’anno seguente la sua morte dal papa Gregorio IX. Nel 1946 Pio XII lo ha proclamato Dottore della Chiesa.
Sant’Antonio di Padova, al secolo Fernando di Buglione, nasce a Lisbona (Portogallo) il 15 agosto 1195; la sua è una famiglia nobile portoghese discendente dal crociato Goffredo di Buglione.
A quindici anni è novizio nel monastero di San Vincenzo a Lisbona. Poi si trasferisce nel monastero di Santa Croce di Coimbra, il maggior centro culturale del Portogallo appartenente all’Ordine dei Canonici regolari di Sant’Agostino. Qui studia scienze e teologia con ottimi maestri, preparandosi all’ordinazione sacerdotale che riceverà nel 1219, a 24 anni.
Quando sembrava dover percorrere la carriera del teologo e del filosofo, decide di lasciare l’ordine dei Canonici Regolari di Sant’Agostino perché mal sopportava i maneggi politici tra i canonici regolari agostiniani e re Alfonso II, aspirava ad una vita religiosamente più severa.
Il suo desiderio si realizza nel 1220. Giungono a Coimbra i corpi di cinque frati francescani decapitati in Marocco, dove si erano recati a predicare per ordine di Francesco d’Assisi. Quando i frati del convento di monte Olivares arrivano per accogliere le spoglie dei martiri, Fernando confida loro la sua aspirazione di vivere nello spirito del Vangelo. Ottenuto il permesso dal provinciale francescano di Spagna e dal priore agostiniano, Fernando entra nel romitorio dei Minori e fa subito professione religiosa, mutando il nome in Antonio in onore dell’abate, eremita egiziano. Subito chiede ed ottiene di partire missionario in Marocco. È verso la fine del 1220 che s’imbarca su un veliero diretto in Africa. Durante il viaggio è colpito da febbre malarica e costretto a stare a letto. La malattia si protrae e in primavera i compagni lo convincono a rientrare in patria per curarsi. Secondo altre versioni, Antonio non si fermò mai in Marocco: ammalatosi appena partito da Lisbona, la nave fu spinta da una tempesta direttamente a Messina, in Sicilia. Curato dai francescani della città, in due mesi guarisce.
A Pentecoste è invitato al Capitolo generale di Assisi, arriva con altri francescani a Santa Maria degli Angeli dove ha modo di ascoltare San Francesco, ma non di conoscerlo personalmente. Il ministro provinciale dell’ordine per l’Italia settentrionale gli propone di trasferirsi a Montepaolo, presso Forlì, dove serviva un sacerdote che dicesse la messa per i sei frati residenti nell’eremo composto da una chiesolina, qualche cella e un orto. Per circa un anno e mezzo vive in contemplazione e penitenza, svolgendo per desiderio personale le mansioni più umili, finché deve scendere con i confratelli in città, per assistere nella chiesa di San Mercuriale all’ordinazione di nuovi sacerdoti dell’ordine e dove predica alla presenza di una vasta platea.
Ad Antonio, per le sue grandi capacità di oratore, gli viene assegnato il ruolo di predicatore e insegnante dallo stesso San Francesco, che gli scrive una lettera raccomandandogli, però, di non perdere lo spirito di preghiera. Comincia a predicare nella Romagna, prosegue nell’Italia settentrionale, usa la sua parola anche per combattere l’eresia (è chiamato anche il martello degli eretici), catara in Italia e albigese in Francia, dove arriverà nel 1225. Tra il 1223 e quest’ultima data pone le basi della scuola teologica francescana, insegnando nel convento bolognese di Santa Maria della Pugliola. Quando è in Francia, tra il 1225 e il 1227, assume un incarico di governo come custode di Limoges. Mentre si trova in visita ad Arles, si racconta gli sia apparso Francesco che aveva appena ricevuto le stigmate. Nel 1227 partecipa al Capitolo generale di Assisi dove il nuovo ministro dell’Ordine è Giovanni Parenti (San Francesco era da pochi anni morto), lo stesso provinciale di Spagna che lo accolse anni prima fra i Minori e che ora lo nomina provinciale dell’Italia settentrionale.
Antonio apre nuove case, visita i conventi per conoscere personalmente tutti i frati, controlla le Clarisse e il Terz’ordine, va a Firenze, finché fissa la sua residenza a Padova. In due mesi scrive i Sermoni domenicali. A Padova ottiene la riforma del Codice statutario repubblicano grazie alla quale un debitore insolvente ma senza colpa, dopo aver ceduto tutti i beni non può essere anche incarcerato. Non solo, tiene testa e ammonisce politici e tiranni come Ezzelino, che era soprannominato il Feroce fece massacrare undicimila padovani che gli erano ostili, in un solo giorno. Intanto scrive i Sermoni per le feste dei Santi; i suoi temi preferiti erano i precetti della fede, della morale e della virtù, l’amore di Dio e la pietà verso i poveri, la preghiera e l’umiltà, la mortificazione. Si scagliava contro l’orgoglio e la lussuria, l’avarizia e l’usura di cui è acerrimo nemico.
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Era inoltre, un convinto sostenitore del dogma dell’assunzione della Vergine. Su richiesta di papa Gregorio IX, nel 1228 tiene le prediche della settimana di Quaresima e da questo papa è definito “arca del Testamento”. Si racconta che le prediche furono tenute davanti ad una folla cosmopolita e che ognuno lo sentì parlare nella propria lingua. Per tre anni viaggia senza risparmio, è stanco, soffre d’asma ed è gonfio per l’idropisia, torna a Padova e memorabili sono le sue prediche per la quaresima del 1231. Per riposarsi si ritira a Camposampiero, vicino Padova, dove il conte Tiso, che aveva regalato un eremo ai frati, gli fa allestire una stanzetta tra i rami di un grande albero di noce. Da qui Antonio predica, ma scende anche a confessare e la sera torna alla sua cella. Una notte che si era recato a controllare come stesse Antonio, il conte Tiso, è attirato da una grande luce che esce dal suo rifugio e assiste alla visita che Gesù Bambino fa al Santo.
A mezzogiorno del 13 giugno 1231, era un venerdì, Antonio si sente mancare e prega i confratelli di portarlo a Padova, dove vuole morire. Caricato su un carro trainato da buoi, alla periferia della città le sue condizioni si aggravano al punto che si decide di ricoverarlo nel vicino convento dell’Arcella dove muore in serata. Si racconta che mentre stava per spirare ebbe la visione del Signore e che al momento della sua morte, nella città di Padova frotte di bambini presero a correre e a gridare che il Santo era morto.
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Nei giorni seguenti la sua morte, si scatenano “guerre intestine” tra il convento dove era morto che voleva conservarne le spoglie e quello di Santa Maria Mater Domini, il suo convento, dove avrebbe voluto morire. Durante la disputa si verificano persino disordini popolari. Infine il padre provinciale decide che la salma sia portata a Mater Domini. Non appena il corpo giunge a destinazione iniziano i miracoli, alcuni documentati da testimoni.
Anche in vita Antonio aveva operato miracoli quali esorcismi, profezie, guarigioni, compreso il riattaccare una gamba, o un piede, recisa, fece ritrovare il cuore di un avaro in uno scrigno, ad una donna riattaccò i capelli che il marito geloso le aveva strappato, rese innocui cibi avvelenati.
Predicò ai pesci, costrinse una mula ad inginocchiarsi davanti all’Ostia, fu visto in più luoghi contemporaneamente, da qualcuno anche con Gesù Bambino in braccio. La grande Basilica a lui dedicata sorge vicino al convento di Santa Maria Mater Domini.
Trentadue anni dopo la sua morte, durante la traslazione delle sue spoglie, San Bonaventura da Bagnoregio trovò la lingua del Santo incorrotta, ed è conservata nella cappella del Tesoro presso la basilica della città veneta di cui è patrono. Sant’Antonio è anche patrono degli affamati, dei poveri, del Portogallo, del Brasile, della Custodia di Terra Santa e di numerose città in Italia, Spagna e Stati Uniti.
Viene spesso invocato per ritrovare gli oggetti smarriti.
(Fonte www.santiebeati.it – Autore: Maurizio Valeriani)
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Ricordati, o caro Sant’Antonio, che tu hai sempre aiutato e consolato chiunque è ricorso a te nelle sue necessità.
Animato da grande confidenza e dalla certezza di non pregare invano, anch’io ricorro a te, che sei così ricco di meriti davanti al Signore.
Non rifiutare la mia preghiera, ma fa’ che essa giunga, con la tua intercessione, al trono di Dio.
Vieni in mio soccorso nella presente angustia e necessità, e ottienimi la grazia che ardentemente imploro, se è per il bene dell’anima mia (CHIEDERE LA GRAZIA).
Benedici il mio lavoro e la mia famiglia: tieni lontane da essa le malattie e i pericoli dell’anima e del corpo. Fa’ che nell’ora del dolore e della prova io possa rimanere forte nella fede e nell’amore di Dio. Amen.
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