Scopriamo insieme le origini della festa di San Giuseppe; un approfondimento di Antonio Tarallo. L’articolo è tratto da sanfrancescopatronoditalia.it
Il culto di San Giuseppe, iniziò in Italia e in tutti i paesi cristiani, fin dal Medioevo, grazie ad alcuni monaci benedettini (1030), all’ordine dei Servi di Maria (nel 1324) e ai Francescani (dal 1399). Grazie a questi ordini religiosi, la devozione crebbe sempre di più, fino a vedere il santo, patrono di molti paesi e città.
Proprio in questi paesi, il 19 marzo, veniva festeggiata – prima della istituzione della festa del santo – la vigilia dell’equinozio di primavera. Grandi feste, dove protagonisti indiscussi erano i falò, propiziatori per la primavera. In fondo, in quelle stesse località dove si festeggiavano i riti pagani, ancora oggi, grandi falò illuminano le notti di festa di San Giuseppe. Feste antiche che si perdono nella notte dei tempi.
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I racconti dei nonni ci aiutano a entrare in tradizioni che ormai – purtroppo – non vivono più il sapore di una volta. E “sapore” – è il caso di dirlo – è proprio il termine più appropriato.
La cucina italiana e le tradizioni religiose sono andate sempre “a braccetto”. Piccoli pani, portati come segno di devozione in Chiesa al mattino da fornai e casalinghe, venivano benedetti e poi spezzettati e offerti a tutti i fedeli. Ma il pranzo era il clou della festa. A tavola le madri portavano la pasta con sparsa sopra la mollica di pane fritta.
E, a proposito di fritti, è lei la protagonista della festa del 19 marzo. Non manca mai, in nessuna tavola. E’ il regalo preferito di ogni papà. Perché – tutti lo sappiamo – il giorno in questione, non è solo la festa di San Giuseppe, ma dal 1968 è divenuta anche la festa laica di ogni papà. Ma cosa non può mancare sulle tavole delle famiglie, oggi? Signore e signori, è lei: la zeppola di San Giuseppe .
Sull’origine del famoso dolce, troviamo due tradizioni. Una, legata ai riti pagani di cui si diceva prima; l’altra, alla città dei dolci per eccellenza, Napoli. Si narra che durante i culti pagani, venivano fritte grosse quantità di frittelle in olio o strutto bollente, simili proprio alle zeppole che noi conosciamo. Alcuni gastronomi, invece, attribuiscono l’invenzione della zeppola di San Giuseppe al convento di San Gregorio Armeno, a quello delle monache della Croce di Lucca, o a quelle dello Splendore. C’è una importante fonte storica che ci viene in aiuto.
E’ una ricetta che risale al 1837, pubblicata dal celebre gastronomo napoletano Ippolito Cavalcanti, Duca di Buonvicino e autore del libro “Cucina teorico-pratica”:
“Miette ncoppa a lo ffuoco na cazzarola co meza caraffa d’acqua fresca, e nu bicchiere de vino janco, e quando vide ch’accomenz’a fa lle campanelle, e sta p’ascì a bollere nce mine a poco a poco miezo ruotolo, o duje tierze de sciore fino, votanno sempre co lo laniaturo; e quanno la pasta se scosta da tuorno a la cazzarola, allora è fatta e la lieve mettennola ‘ncoppa a lo tavolillo, co na sodonta d’uoglio; quanno è mezza fredda, che la puo’ manià, la mine co lle mmane per farla schianà si per caso nce fosse quacche pallottola de sciore: ne farraje tanta tortanelli come sono li zeppole, e le friarraje, o co l’uoglio, o co la nzogna”.
Fa certamente un certo effetto leggere questa antichissima ricetta, in un napoletano così antico. Antica come la tradizione che accompagna questo giorno così speciale.
Fonte www.sanfrancescopatronoditalia.it – di Antonio Tarallo
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