Italiae et Ecclesia

Oggi è l’anniversario della morte di Suor Josefa Menendez, la mistica morta a 33 anni che visitò dieci volte l’inferno

Visitò per 10 volte l’inferno e attraverso la testimonianza di molte anime, che le si presentavano per chiederle suffragi e preghiere, conobbe anche il purgatorio. Il demonio la incendiava o la trasportava lontano davanti agli occhi atterriti dei presenti. Eppure la sua eroicità si consumava nel nascondimento.

Il 29 dicembre 1923 moriva santamente, a 33 anni, nella casa dei Feuillants a Poitiers, Josefa Menéndez, umile sorella co­adiutrice della Società del Sacro Cuore, dopo solo quattro anni di vita religiosa trascorsi nel più oscuro nascondimento.

Si sarebbe detto che il mondo dovesse ignorarla del tutto, e che non le sarebbe stato concesso se non il fuggevole ricordo delle consorelle; ma ecco che, dopo 40 anni dalla morte, il nome suo risuona nel mondo, e, dall’estremità dell’America, dell’Africa, dell’Asia, dell’Oceania, la si invoca con fervore e si ascolta con rispettoso raccoglimento il Messaggio che, per comando divino, ella doveva trasmettere agli uomini.

Il video che abbiamo realizzato sul canale YouTube della Redazione per raccontarvi la sotira di questa santa straordinaria

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Nel 1938, sotto il titolo «Invito all’Amore », l’Apostolato della Preghiera di Tolosa fece conoscere, nella parte sostanziale, il Messaggio del Cuore di Gesù, e l’allora Card. Pacelli, in una lettera di prefazione, si degnò raccomandare a tutti la lettura di quelle pagine. Dopo 5 anni venne chiesta, con insistenza, la biografia completa di Sorella Josefa. Sul principio, tanto la Superiora che il Direttore si mostrarono prudentemente riservati e diffi­denti, ma infine dovettero arrendersi all’evidenza dei fatti, e credere alla Missione dell’umile Sorella.

Il 24 febbraio 1921, di sera, Gesù disse a Suor Josefa: «Il mondo non conosce la misericordia del mio Cuore, dice Gesù a Josefa. Voglio servirmi di te per farla co­noscere… ti voglio apostola della mia bontà e della mia misericordia. T’insegnerò che cosa ciò significhi; tu di­menticati

». E siccome Josefa esponeva i suoi timori: «Ama e non temere di nulla. Voglio ciò che tu non vuoi, ma posso ciò che non potrai. A te non tocca scegliere, ma abbandonarti».

Dio sceglie suor Josefa come vittima per le anime, specialmente per le anime consacrate. La sua missione è duplice: deve essere vittima e messaggera.

I sacri cuori di Gesù e Maria

Come Lui, sarà la vittima pura. Non si può espiare per gli altri se dobbiamo espiare per noi stessi. Dio aveva circondata Josefa, fin dalla nascita, di purezza e non si scorge, nella sua esistenza, alcuna colpa pienamente avvertita. Le sue più grandi infedeltà, come ella stessa diceva, consistevano nell’esitare di fronte ad una missione che la turbava, niente però che avesse potuto in alcun modo offuscarne il cuore e l’anima. Nostro Signore vigilava gelosamente. «Ti voglio talmente dimentica di te, e così abbandonata alla mia volontà che non ti permetterò la più piccola im­perfezione senza avvertirtene» (21febbraio 1921).

Questo amore dà loro una forza so­vrumana di sopportazione che Josefa descrive assai bene: «Da una ventina di giorni l’anima mia si sente attratta a sof­frire. In passato tutto mi faceva paura e quando Gesù mi diceva di avermi scelta per vittima, provavo un fremito in tutto l’essere; ora è l’opposto. A giorni soffro tanto che se Egli non mi sostenesse non potrei vivere, perché patisco in tutte le membra. Nonostante ciò l’anima mia vorrebbe sopportare ancora di più per Lui, benché la natura opponga talvolta resistenza. Quando comincio a provare questi dolori tremo e indietreggio istintivamente, ma nella volontà c ‘e’ una forza che accetta, che vuole, che desidera soffrire di più. Se in quel momento mi si offrisse o di andare in cielo, o di con­tinuare a patire, preferirei mille volte restare in terra per consolare il Cuore divino, benché arda dal desiderio di unirmi a lui. Capisco che è Gesù che mi ha cambiata così…» (30 giugno 1921).

Durante la Quaresima del 1922, Dio la mette in contatto con un altro abisso di dolore, quello del Purgatorio. Molte anime vengono ad implorare i suoi suffragi e i suoi sacrifici: «Abbi compassione di me, fa’ degli atti d’umiltà per riparare il mio orgoglio. Così potrai liberarmi da questo abisso.» «- Ho passato sette anni in peccato mortale – confessava un’altra – e sono stata tre anni ammalata. Ho sempre rifiutato di confessarmi. Mi ero preparato l’inferno e ci sarei caduta se le tue sofferenze di oggi non mi avessero ottenuto la forza di rientrare in grazia. Sono ora in purgatorio e ti supplico, poiché hai potuto salvarmi: liberami da questa prigione tanto triste!»

La forza diabolica s’infrangerà contro la fragilità di Josefa. Già durante il suo postulato, il maligno l’assale con una grandine di colpi, giorno e notte, che le vengono inflitti da mano invisibile, specialmente nella preghiera e quando protesta di voler essere fedele ad ogni costo. Talora, viene strappata violentemente dalla cappella, o si trova nell’impossibilità di entrarvi. Altre volte le apparizioni del demonio si succedono sotto l’aspetto di un cane ripugnante, d’un serpente, o, ancora più terribili, in forma umana. Ben presto, nonostante l’assidua vigilanza delle Superiore, Josefa viene ripetutamente trasportata altrove. Sotto i loro occhi essa, ad un tratto, sparisce, e la si ritrova, parecchio tempo dopo, o nel solaio, o sotto qualche mobile, o in qualche luogo deserto. In loro presenza viene bruciata senza che il demonio appaia, e si vedono le vesti di Josefa in fiamme, e sul corpo i segni delle terribili scottature.

Dieci volte Suor Josefa sarà bruciata: questo fuoco lascerà tracce non solo sugli abiti, ma ancor più sulle sue membra. Piaghe vive, lente a chiudersi, imprimeranno sul suo corpo cicatrici che ella porterà con sé nella tomba. Vari oggetti di biancheria bruciati si conservano ancora e attestano la realtà della rabbia infernale e il coraggio eroico che sostenne quegli assalti per rimanere fedele all’opera di Amore.

SOR-JOSEFA-MENENDEZ

La sera del giovedì santo, 13 aprile 1922, Josefa scriveva: «Verso le tre e mezzo mi trovavo in cappella quando davanti a me vidi qualcuno vestito come Nostro Signore, ma un poco più alto di statura, molto bello, con un’espressione di pace nella fisionomia che attraeva. Indossava una tunica di colore rosso violaceo scuro. In mano aveva una corona di spine simile a quella che Gesù mi portava nel passato». «- Sono il Discepolo del Signore – disse. – Sono Giovanni l’Evangelista e ti porto uno dei gioielli più preziosi del divino Maestro». «Mi diede la corona ed egli stesso me la posò sul capo».

Più di cento volte discende nell’abisso, e, ad ogni discesa, le sembra di esservi entrata per la prima volta e di esservi da secoli interi! Eccetto l’odio di Dio, ella ne subisce tutti i tormenti, tra cui non è il minimo quello di ascoltare le sterili confessioni dei dannati, le grida di odio, di dolore, di disperazione. Quando Josefa ne esce fuori, affranta e sfinita, ogni soffe­renza per salvare le anime le appare ben poca cosa, e, nel tornare a contatto con la vita, il suo cuore non sa contenere la gioia di poter ancora amare!

La Madre celeste la soccorre: «Mentre tu soffri, l’azione del demonio su quell’anima è meno forte» (22 luglio 1921). «Tu soffri per riposare Gesù e ciò non basta per darti coraggio?» (12 luglio 1921). Nostro Signore stesso le rivela i tesori di riparazione e di espiazione contenuti nella prova cui la sottopone (6 ottobre e 5 novembre 1922). Dio le concede di vedere, nell’infermo le manifestazioni di rabbia del demonio, allorché gli sfuggono le anime che egli credeva di aver fatte sue, proprio quelle per le quali Josefa aveva espiato!

«Non è il peccato che ferisce maggiormente il mio Cuore, Egli dice , ma ciò che più lo strazia è che le anime, dopo averlo commesso, non vengono a rifugiarsi in me» (29 agosto 1922). Ciò che vuole, ciò che desidera ardentemente, è la fiducia nella sua Misericordia e Bontà infinite. «Non intendo dire che un’anima, per il fatto stesso che è prescelta, non debba più cadere in difetti e venga li­berata da ogni miseria. No, cadrà, e cadrà più volte. Ma se si umilia e riconosce il suo nulla, se si sforza di ri­parare le colpe con piccoli atti di generosità e di amore, se confida e si abbandona di nuovo al mio Cuore, mi glorificherà di più, e potrà far più bene alle anime che se non fosse mai caduta. Poco mi curo della miseria; quello che m’importa è l’amore» (20 ottobre 1922). Ciò che il Cuore divino desidera dai suoi è dunque l’umiltà, la fiducia e l’amore.

Il Messaggio non consiste soltanto nelle parole affidate a Josefa, ma nell’intera vita di lei. E’ stata controllata, seguita da te­stimoni irrefutabili, che possono affermare e la virtù inconte­stabile dell’umile e oscura messaggera dell’amore infinito, e la realtà dei suoi stati soprannaturali di cui hanno avuto la prova palpabile. Mai si notò in lei qualche segno di ricerca personale.

Gli scritti di questa umile sorella coadiutrice, ignorante agli occhi del mondo, verranno indubbiamente letti e meditati da teologi e da maestri di vita spirituale. Come già per S. Teresa del Bambino Gesù, si pubblicheranno numerose opere per commentarne la profonda dottrina e scoprirne i segreti d’amore.

Ma ciò che è meglio, innumerevoli grazie di conversione e di santità fioriranno dopo la lettura di queste pagine. Il mondo potrà meravigliarsi che da un nulla, qual è la vita di Josefa, possano scaturire cose tanto grandi, ed è precisamente questo nulla la prova divina. In verità il Messaggio è firmato da mano divina: Digitus Dei est hic!

P. H. MONIER-VINARD S. J.

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