Una giornata di preghiera e di digiuno per la pace, da dedicarsi in modo particolare alla Repubblica Democratica del Congo e al Sud Sudan, senza dimenticare la situazione della Siria, martoriata dalla guerra, che si fa sempre più drammatica nel Ghouta orientale. Papa Francesco l’ha indetta di fronte al perdurare dei conflitti nel mondo per coinvolgere i fedeli cattolici, ma anche quelli cristiani e non cristiani. Viene celebrata il 23 febbraio, venerdì della prima settimana di Quaresima. Con un annuncio, dato significativamente il giorno in cui in Italia si celebrava la giornata per la vita, il Pontefice ha mostrato ancora una volta la sua sollecitudine per la Chiesa universale e la sua prossimità alle persone che soffrono di più.
A questa iniziativa per la pace che ha un’attenzione particolare per quei due grandi paesi del continente africano, il Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale si associa con convinta partecipazione. Tale iniziativa viene ad aggiungersi alle altre del Papa che si sono susseguite negli ultimi tempi e che hanno, fra gli altri, lo scopo di richiamare l’attenzione della comunità internazionale su situazioni di violenza estremamente dolorose che non trovano spazio adeguato nei media. Eppure, la recentissima dichiarazione dei vescovi del Congo — dove sfollati e rifugiati patiscono sofferenze enormi — ha accenti drammatici nel ricordare le marce pacifiche del 31 dicembre 2017 e dello scorso 21 gennaio che sono state represse nel sangue: «Perché tanti morti, feriti, arresti, sequestri, attacchi alle parrocchie e alle comunità religiose, umiliazioni, torture, intimidazioni, profanazioni di chiese, proibizioni di pregare?» (Dichiarazione della Conferenza Episcopale del Congo, 17 febbraio 2018). E nel Sud Sudan, dove la situazione nel maggio scorso era tale da costringere Papa Francesco a rinunciare alla visita che doveva compiervi, i rifugiati e gli sfollati rappresentano circa un quarto della popolazione che, tutta, patisce una crisi economica gravissima e versa in grande stato di povertà. Anche loro «sono uomini e donne, bambini, giovani e anziani che cercano un luogo dove vivere in pace» (Messaggio pontificio per la giornata mondiale della pace 2018) e, nelle parole dei loro vescovi, mostrano gratitudine verso quanti li hanno generosamente accolti, come testimonia un toccante messaggio del 20 ottobre 2017 inviato dal presidente della Conferenza episcopale sudanese a quella del Kenya nei giorni delle violenze postelettorali che hanno colpito il suo paese.
La giornata del 23 febbraio, così come la veglia di preghiera che il Papa presiedette nella basilica di San Pietro il 23 novembre 2017, sono una prima essenziale risposta, con i “rimedi” messi a disposizione dal tempo forte di Quaresima, alla domanda: «Che cosa posso fare io per la pace?»: la preghiera e il digiuno, e poi l’elemosina.
Infatti, il privarci di qualcosa «ci libera dall’avidità, ci aiuta a scoprire che l’altro è mio fratello» e «costituisce una testimonianza concreta della comunione che viviamo nella Chiesa» (Messaggio del Papa per la quaresima 2018): gli aiuti materiali, anche essi sono necessari. Nel novembre scorso, il Pontefice attraverso il Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale, così come aveva fatto per il Sud Sudan dopo la mancata visita, ha inviato un contributo concreto per il soccorso alle popolazioni congolesi della regione del Grande Kasai, vittime di un conflitto che aveva fatto in quei mesi oltre 3400 vittime e ingenti danni materiali. Tale contributo era la parte iniziale degli aiuti che pervennero poi da tutta la Chiesa cattolica con il coinvolgimento diretto di varie Conferenze episcopali e di numerosi organismi di carità, primo fra tutti, la Caritas internationalis. Ma una risposta alla domanda «Che cosa posso fare io per la pace?» è anche quella data Francesco all’Angelus del 4 febbraio, dopo, appunto, averla posta: «ognuno può dire concretamente “no” alla violenza per quanto dipende da lui o da lei. Perché le vittorie ottenute con la violenza sono false vittorie». Una falsità che si rispecchia «nell’ipocrisia del tacere o negare le stragi di donne e bambini che è dove la guerra mostra il volto più orribile» (Omelia della veglia di preghiera del 23 novembre 2017).
Oltre alla domanda su cosa possa fare ognuno di noi per costruire la pace, si deve anche considerare il ruolo di quanti sono responsabili della cosa pubblica e hanno il dovere di assicurare una vita pacifica ai loro concittadini. La comunità internazionale, dal canto suo, ha la responsabilità di garantire una transizione non violenta verso la nuova presidenza in Congo e i paesi che vi hanno un interesse economico devono avere a cuore il bene delle popolazioni locali.
I vescovi della Repubblica Democratica del Congo, paladini di una Chiesa non “infeudata” a nessuna organizzazione politica (Dichiarazione del 17 febbraio 2018), sono da tempo coraggiosamente impegnati nel cercare una via di uscita dalla crisi. Via di uscita che sembrava poter essere raggiunta grazie proprio a un’opera di paziente mediazione che la Conferenza episcopale ha portato avanti per mesi, senza rinunciare al suo ruolo profetico neanche di fronte ai duri attacchi subiti, nell’attuale impasse, specie nella persona dell’arcivescovo di Kinshasa, cardinale Laurent Monsengwo Pasinya.
Il Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale, mentre è particolarmente sensibile alle sofferenze che il clero, i religiosi e le religiose, e l’intera popolazione congolese patiscono, specie in alcune zone, esprime tutto il proprio sostegno al cardinale, che ha l’onore di annoverare fra i propri membri e del quale apprezza la competenza, la saggezza e la preoccupazione per il rispetto della dignità umana e il bene comune ispirato dai valori evangelici e fondato sulla dottrina sociale della Chiesa. La costante sollecitudine del Pontefice per la pace in Sud Sudan e nella Repubblica Democratica del Congo è accompagnata anche dall’impegno personale dei religiosi e delle religiose in quei paesi e dalle loro famiglie religiose ovunque nel mondo. Prova ne è l’evento, promosso a Roma il 18 gennaio scorso, dalla Commissione congiunta dell’Unione dei superiori generali e dell’Unione internazionale delle superiore generali, con la collaborazione del Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale.
Nella giornata del 23 febbraio e nella veglia serale ci stringeremo, dunque, in comunione con il Papa per implorare la pace nel mondo e in particolare nella Repubblica Democratica del Congo e in Sud Sudan. Chiederemo al Signore che abbatta i muri dell’inimicizia e rafforzi nei governanti e nei responsabili la volontà di ricercare soluzioni pacifiche tramite il dialogo e il negoziato, sicuri che, come ha detto il Pontefice all’Angelus del 4 febbraio scorso, «il nostro Padre celeste ascolta sempre i suoi figli che gridano a Lui nel dolore e nell’angoscia “risana i cuori affranti e fascia le loro ferite” (Sal 147, 3)».
di Peter Kodwo Appiah Turkson / Osservatore Romano